La guerra incivile nel “Maestro che promise il mare”

mercoledì 18 settembre 2024


C’era una volta un fascismo che non entrò in guerra con i suoi sodali Adolf Hitler e Benito Mussolini. Francisco Franco gli dette il suo nome e venne venerato come un dio in terra. Oggi, da una storia vera, emerge tutto il buio profondo, intellettuale, politico e morale, che caratterizzò la sua epoca pertanto di pace, avendo vinto Franco una sanguinaria Guerra Civile iniziata nel 1937 (Pablo Picasso l’ha per sempre cerchiata a fuoco, con il suo urlo astratto di dolore in Guernica), e regnato dispoticamente dal 1939 al 1975.

Il bel film Il Maestro che promise il Mare (in uscita nelle sale italiane domani, 19 settembre) della regista Patricia Font, narra la vita vissuta, e persa in giovane età per ragioni di odio politico, del Maestro Antonio Benaiges (Enric Auquer) che, nel 1935, va a insegnare in un minuscolo villaggio nella provincia spagnola di Burgos, in Spagna, con tanto di alcade (sindaco) e prete tradizionalisti e beceri conservatori. Nei suoi metodi didattici, pur attuati nell’essenzialità dei mezzi didattici (pagati di tasca propria dal maestro), Antonio si rivela un adepto geniale del suo idolo, il grande pedagogista ed educatore francese Célestin Baptistin Freinet, ideologo della Pedagogia popolare. Il suo insegnamento era per l’essenziale volto all’apprendimento naturale, in cui i fattori di casualità e di approssimazione per difetto delle soluzioni creative hanno a base l’esperienza tattile, sensoriale e scritturale, collegate alla vita e all’ambiente sociale.

In questo contesto montessoriano, l’insegnante è chiamato a considerare l’allievo un soggetto attivo, con le proprie esigenze e i personalissimi tempi di apprendimento che, però, accelerano e plasticamente si ricompongono attraverso gli stimoli del lavoro collettivo.

Gli strumenti didattici-chiave di Freinet sono la tipografia, il testo libero, lo schedario vivente e la corrispondenza interscolastica. Tutte cose che Benaiges riuscirà brillantemente a realizzare con i famosi quaderni” scolatici di classe (dati puntualmente al rogo da pretoriani e centurioni franchisti), quest’ultima intesa come un cantiere aperto, dove tutti collaborano e condividono progetti e risultati ottenuti.

La tecnica Freinet, attuata con fantasia e rigore da Benaiges, prevedeva la stesura di testi a tema libero sulla base delle inclinazioni dei singoli allievi. Dopo la lettura collettiva di tutti gli elaborati, il maestro e gli alunni votavano quale fosse il migliore, lo correggevano insieme, e poi lo stampavano. Ognuno dei testi andava poi a formare una raccolta intitolata Il libro della vita: un quaderno impaginato e decorato dagli allievi stessi, per poi essere inviato ad altre scuole. Un’attività di libero pensiero e socializzazione che, nel caso di Benaiges, il nascente regime franchista vide come esempio di propaganda comunista, da eradicare e punire esemplarmente, esibendo in pubblico un corpo martoriato come quelli mostrati a conclusione di uno dei tanti processi della Santa Inquisizione, in cui venivano esibiti al volgo plaudente i corpi sanguinolenti degli eretici, con le membra dislocate e le ossa frantumate dalla corda e dalla ruota.

Nel gennaio 1936 Benaiges e i suoi allievi realizzarono un quaderno dal titolo: El Mar. Visión de unos niños que no lo han visto nunca (Il Mare. Visione di bambini che non lo hanno mai visto) dove ciascun alunno della multiclasse (dai 6 ai 12 anni di età), lavorando di fantasia, descrisse il mare in poche parole, anche se nessuno di loro l’aveva in effetti mai visto. Benaiges promise ai suoi piccoli allievi che quel mare gliel’avrebbe mostrato l’estate successiva, a Mont-Roig del Camp, nel suo paese d’origine. Ma quel giorno non arrivò mai, perché prima di allora si scatenò l’orda nera franchista che ne oscurò per sempre i progressi didattici.

Il film inizia però in tutt’altro modo, con Ariadna, la nipote di Carlos, uno degli allievi di Benaiges, che va alla ricerca del suo bisnonno, il padre di Carlos, sperando di ritrovarne qualche povero resto in una delle tante fosse comuni scoperte di recente, recensite e documentate da un particolare memoriale dell’Olocausto del franchismo, per poter comunicare la notizia del ritrovamento al suo vuelo, ormai con la mente devastata dagli ictus.

La cosa particolarissima della messa in scena da parte della Font è rappresentata dal doppio salto generazionale in cui, finalmente, è Ariadna, figlia della penultima generazione (in quanto madre di una bambina piccola) a prendere in carico, con grandissima emotività e partecipazione, quel profondo sentimento di vergogna del dolore e del lutto collettivo non elaborato, per un passato con cui, al contrario della Germania e del suo orrore nazista, la Spagna non ha mai davvero fatto i conti sino in fondo.


di Maurizio Bonanni