mercoledì 11 settembre 2024
Leggo notizie sull’attore, regista, scrittore Carmelo Bene, e i ricordi si uniscono alle notizie. Anni Sessanta-Settanta e oltre, in un teatro cantina, il Beat 72, vidi e ascoltai Carmelo Bene. In quella stanza, stanzone, desolato, scarno, una scena minima, e testi classici o nuovi strabiliati, non restavano quel erano da secoli o se nuovi d’altra mentalità. Quale? L’irrisione, la degradazione, il contraddire ogni presunta dignità, nobiltà, teatro annichilente. Carmelo Bene stava in pieno in queste incarnazioni, con voce personale, tra il naso e la testa, variando, ora biascicamenti sfottitori di naso, ora ire di botto di testa, toglieva ogni paludamento al modo classico di recitare come cercava di attuare Vittorio Gassman. Bene strascicava pure il corpo, niente pose, niente maestà eretta, anzi. I occhi grossi scuri e tondi si muovevano al suo dire con mimica ridanciana, afflitta, orripilata. Sicché tutto in Carmelo Bene diventava espressivo: occhi, voce, attività del corpo. Non che gli altri attori si comportassero diversamente ma la voce, gli occhi, i moti del corpo erano di un nichilismo senza scampo, constatato, insanabile e beffardo, contro ogni speranza, ogni mutamento.
In effetti, c’era da disilludersi: la via italiana e mondiale al comunismo si perdeva in vicoli e penuria economica e spirituale. Le società occidentali sostituivano i valori con le merci: vale ciò che si vende, ciò che si vende maggiormente vale estremamente. Se borghesia e proletariato declinavano restava l’espressione del nulla, e Carmelo Bene la impersonò. Mise nel sacco classici e testi nuovi, questi ultimi con volute scemenze, prolissità insensate: la parola perdeva dignità, e Bene aggrovigliava parole come scorze di cocomero gettate. Un dire tanto per usare la lingua ma non il linguaggio: dialogo a cane che fugge. E gli piaceva a riguardo quanto un altro sfottitore di linguaggio aveva concepito contro Ugo Foscolo. Lo sfottitore era Carlo Emilio Gadda che scalcagnava il linguaggio e la tensione eroica di Ugo Foscolo. Bene stava nel suo, si immedesimava in Gadda e Foscolo ne usciva con i cerotti.
Ma pure Amleto anzi Ofelia che Amleto allontanava da sé con spregio e sorriso. Un diluvio sconsacrante di tutto e di tutti. Io andavo al teatro con Elsa De Giorgi, che era amica di Bene, e Bene ricambiava. In una rappresentazione il testo non mi parve adeguato, e quando emissari di Bene vennero da noi per saperne il giudizio io dissi alla De Giorgi che non mi andava. Gli emissari di Bene, riferirono. Se ne spiacque. Un mio studente partecipava all’ambiente teatrale e mi disse se volevo conoscere Carmelo Bene, io accettai, e ci recammo al teatro, ma quando Bene mi vide si allontanò. Il che avvenne prima del nostro giudizio, e non capii quella fuga. Ma era un tipo ombroso, con tendenze distruttive manifeste. Ricordo che a Piazza del Popolo, da Rosati, beveva liquorini e Lydia Mancinelli tentava di frenarlo ma Bene si ostinava a continuare. Era amico di Vittorio Bodini, docente di spagnolo. Io ed Elsa eravamo amici di Bodini e della magnifica consorte. Bene veniva, si intanava in una stanza e non compariva.
Ricordo un altro piccolo episodio. Fummo invitati, Elsa ed io, a una prima di un film di Bene, mi pare al Salone Margherita, c’era anche Vittorio De Sica, il quale a mezzo spettacolo se ne andò. Non credo che il film valesse. Bene fece scuola. Degli attori che recitarono miei testi imitavano lo strascico nasale di Bene e i colpi di improvvisa rabbia. Insopportabili. Del resto, Bene divenne imitatore di sé stesso, un manierismo troppo ripetuto, tra l’annoiato, il disperato, il totalmente mancante della minima voglia di vivere. Ed era e resta il Carmelo Bene migliore, vero. Specie nella recita di poesie. Il “suo” Giacomo Leopardi è interno a Leopardi, desolato, derelitto, ma così amante di una vita che non c’è da renderla sentita. Ma non sapeva vivere, credo che cercasse di finirla. Una sera Elsa De Giorgi faceva la regia di uno spettacolo, testo di Pietro Aretino, in una piazza di Roma. Bene venne, girò, guardò, e prima dell’inizio dello spettacolo se ne andò. Mi parve uno che non trova sede, né in sé e né fuori di sé. Ricordi.
di Antonio Saccà