martedì 27 agosto 2024
Il 25 agosto 1944, ottant’anni fa, Parigi – occupata, sin dal giugno del 1940, dai nazisti trionfatori nella breve campagna di Francia seguita alla “drôle de guerre”, “guerra balorda”, prima fase della Seconda Guerra mondiale – era finalmente liberata. L’operazione, pianificata e condotta in fretta dopo forti discussioni tra i leader alleati, fu effettuata principalmente dai reparti meccanizzati francesi della II divisione blindata del generale Philippe Leclerc, entrati in città già la notte del 24; come fortemente chiesto da Charles De Gaulle ai dirigenti politico-militari anglo-americani, per questioni di prestigio e per segnalare simbolicamente la rivincita e la rinascita della Francia.
Il mattino seguente, il grosso della II Armored Division e della US 4th Infantry Division americane, parti della III Armata USA, guidata dal mitico generale George Smith Patton, entrarono in città.
I tedeschi, ormai in progressiva ritirata dopo il D-Day in Normandia del giugno precedente, non opposero forte resistenza; lo stesso generale Dietrich von Choltitz, comandante della piazzaforte di Parigi (che peraltro disponeva solo di forze raccogliticce, con molti elementi decisamente giovani), non obbedì all’ordine draconiano di Adolf Hitler. Che prevedeva – come tragicamente sarebbe accaduto, tempo dopo, a Varsavia, insorta contro i tedeschi il 1° agosto – la distruzione totale della città.
Sono le scene poi magistralmente trasposte nel 1966, dal regista francese René Clément nel film “Parigi brucia?”, basato sull’omonimo libro dei giornalisti Dominique Lapierre e Larry Collins, ricostruzione dettagliata minuto per minuto, piena di tensione e colpi di scena, della battaglia combattuta a Parigi, in quel soffocante agosto del 1944. Tra Resistenza francese (che andava dai gollisti ai cattolici e ai comunisti, e il 19 agosto iniziava la rivolta antinazista), occupanti tedeschi, un Adolf Hitler deciso a radere la città al suolo, un generale von Choltitz dapprima incerto, poi deciso a disobbedire al tiranno, e degli Alleati inizialmente riluttanti a dar la priorità alla liberazione della capitale. Il piano iniziale, infatti, prevedeva l’aggiramento di Parigi a Nord e la distruzione delle forze tedesche ancora presenti in Francia e Paesi Bassi: per avviar il più possibile al termine la guerra in Europa, arrivando a Berlino prima dei sovietici, e concentrare poi lo sforzo bellico sul fronte del Pacifico.
A Parigi è in programma sino al 22 settembre, per l’80° Anniversario della Liberazione della città, la mostra “Parigi in fiamme?”, Quand le cinéma réinvente la Libération: organizzata dal Musée de la Libération de Paris-Musée du Général Leclerc- Musée Jean Moulin.
La mostra, ubicata al Musée de la Libération de Paris, fa un’esplorazione immersiva delle scene emblematiche del film di Clément del 1966: permettendo ai visitatori di confrontare la visione cinematografica (documentari originali di quei giorni compresi) della Liberazione con gli eventi reali. Il tutto arricchito dalla presentazione di documenti e archivi di René Clément, fotografie esclusive delle riprese e cimeli autentici di Parigi 1944 provenienti dalle collezioni del Museo; facendo luce, al tempo stesso, sul contesto politico e sociale di metà anni Sessanta (quando la pellicola di Clément uscì, la Francia era da poco uscita dai “due Vietnam”, indocinese e algerino, e dall’incubo dell’Oas, ed era quasi alle porte il maggio 1968).
Il film “Parigi brucia?” è stato un kolossal franco-americano (con 5 milioni di biglietti venduti in Francia): interpretato da star come Alain Delon (nei panni di Jacques Chaban.Delmas, esponente di primo piano del gollismo, nel dopoguerra, poi, a lungo sindaco di Bordeaux), Jean-Paul Belmondo, Yves Montand, Kirk Douglas (George Patton) Anthony Perkins, Simone Signoret, Bruno Cremer (Rol Tanguy, dirigente della Resistenza comunista), Claude Rich, Orson Welles.
Su tutti giganteggia (e gigioneggia) il tedesco Gert Fröbe (già Goldfinger, cinico nemico di James Bond, nell’altro celebre film del 1964), perfetto nei panni del generale Von Choltitz. La mostra di ora a Parigi, più ampiamente, esplora anche i confini tra rievocazione storica e interpretazione artistica, con riferimenti anche ad opere recentissime come l’ultimo film di Ridley Scott, “Napoleon”.
Nel 2014, poi, il regista tedesco Volker Schlöndorff, già esponente di rilievo del Nuovo cinema tedesco anni Sessanta-Settanta (vedi “Il tamburo di latta” del 1979, dall’omonimo romanzo di Gunter Grass), ha girato “Diplomacy. Una notte per salvare Parigi”, dall’opera teatrale “Diplomatie” (2011) dello scrittore francese Cyril Gély. Il film, produzione franco-tedesca, si concentra sul resoconto immaginario degli sforzi del diplomatico svedese Raoul Nordling, console di Stoccolma a Parigi (un bravo André Dussollier, nello stesso ruolo che, nel film di Clèment del ‘66, era stato del grande Orson Welles), per evitare la distruzione della città da parte del generale Dietrich von Choltitz (qui, Niels Arestrup).
La pellicola focalizza nel ristretto spazio delle stanze di Choltitz all’Hotel Meurice, il lungo braccio di ferro, “a gatto e topo”, tra il diplomatico svedese e il generale tedesco, all’alba appunto del 25 agosto 1944. Pochi giorni prima, il Reichstag, sull’onda della feroce repressione del complotto antinazista del 20 luglio, aveva votato la “legge Sipenhaft” (in tedesco, “punizione”), fortemente voluta da Hitler: che, ripristinando barbare usanze medioevali, prevedeva, in caso di disobbedienza agli ordini dei massimi vertici del Reich, l’imprigionamento nei lager anche dei familiari del disobbediente.
Comprensibilmente preoccupato per la possibile sorte dei suoi familiari in Germania, il generale tedesco si impunta sull’indispensabilità ‒ dal suo punto di vista ‒ di obbedire all’ordine del dittatore; ma poi cederà alle convincenti argomentazioni del diplomatico svedese, sull’inaccettabilità, per il mondo intero, di una distruzione così immane. Nei fatti, per preservare la città di Parigi, che amava e rispettava e di cui conosceva bene le tradizioni e la storia, Choltitz ‒ che, grazie appunto alla mediazione di Nordling, era già venuto a patti con le forze partigiane di liberazione per concordare una tregua agli scontri armati in città ‒ pur continuando a mantenere con forza l’occupazione nazista temporeggiò abilmente sull’esecuzione degli ordini hitleriani, sino alla totale resa germanica a resistenti francesi e Alleati del 25 agosto 1944.
Il generale morì poi a novembre del 1966 (nelle sale era da poco uscito il film di Clément). Fu sepolto nel cimitero di Baden-Baden, nella Foresta Nera, alla presenza delle più alte autorità francesi: che gli riconobbero i meriti di “salvatore della città di Parigi”.
di Fabrizio Federici