Povera letteratura italiana

lunedì 22 luglio 2024


In un clima complessivo di decadenza economica, sociale, politica come quello che da alcuni anni viviamo, non poteva certo mancare il piano inclinato subito dalla letteratura, in questo caso quella italiana. Propongo solo due esempi, ma a loro modo emblematici. La vincitrice del Premio Strega, Donatella Di Pietrantonio, intervistata subito dopo la vittoria, ha dichiarato che avrebbe continuato a difendere le donne con la sua voce “orale o scritta”. Che cosa significa che lotterà a favore delle donne con la sua voce “orale o scritta”? Non mi è mai passato per la mente che ci potesse essere una voce non orale e che invece essa potesse essere addirittura scritta. Ad esserlo potrebbero essere i pensieri, le opinioni, le convinzioni, ma di certo non la voce. Al più – per esser clementi con la scrittrice – si potrebbe considerare l’affermazione sopra riportata quale una sorta di metafora, quasi si volesse invocare la propria coscienza o la propria capacità creativa. Ma non essendo certa la volontà metaforizzante della vincitrice dello Strega, ne verrebbe che quella affermazione rimane strabiliante, perché del tutto sfornita di senso, in quanto la voce non potrebbe che essere orale (come l’acqua non potrebbe che essere bagnata) e mai potrebbe essere scritta. Resta un mistero quello che abbia indotto la scrittrice ad esprimersi in questo modo. Non basta.

Intervistato per il Corriere della Sera da Aldo Cazzullo – che per certi versi ne rappresenta la versione giornalistica – Gianrico Carofiglio (certamente lo scrittore italiano che ha venduto più copie negli ultimi anni) rispondendo a una domanda sciocca, fornisce una risposta altrettanto sciocca. Domanda di Cazzullo: “Qual è il libro che lei avrebbe voluto scrivere?”. Risposta di Carofiglio: “Il piccolo principe”.  Ora, la domanda è sciocca perché, spogliando completamente lo scrittore della sua propria identità, pensa di poterne trasferire la sensibilità umana e letteraria in un’altra persona che abbia già scritto un libro di successo, e perciò cerca di sapere chi possa essere mai costui e quale il libro. La risposta è ancora più sciocca perché, accettando implicitamente la cornice di amena insipienza della domanda, enuncia il titolo celebre di uno scrittore del passato facendone proprie l’ispirazione e la realizzazione, come fossero equivalenti alle proprie capacità, quasi pacchi postali intercambiabili e non la specifica e irripetibile ragion d’essere di ciascuno: io ne fornisco uno a te e tu uno a me e viceversa.

Si può essere più ameni di così? Come dire: accidenti, avrei voluto scrivere il Faust! Peccato che Johann Wolfgang von Goethe ci sia arrivato prima di me. Andrà meglio col prossimo libro: ce ne sono tanti a disposizione. La sola e unica risposta intelligente alla domanda da rotocalco di Cazzullo sarebbe stata: “Nessun libro, perché ho scritto esattamente ciò che non potevo non scrivere e tanto basta”. Altra domanda surreale di Cazzullo, motivata dal fatto che, anni or sono, Carofiglio, pur arrivando fra i cinque finalisti, non aveva vinto lo Strega: “Se avesse la certezza di vincere, riparteciperebbe?”. Risposta impagabile di Carofiglio: “Certo. Perché tutti si dimenticano questa cosa, dopo, e il premio diventa una certificazione di qualità letteraria”. A nessuno dei due viene in mente, neppure per un mero accidente, che un concorso, sia pure letterario come lo Strega, ove uno abbia la certezza di vincere, non sarebbe più un concorso, ma una grande messa in scena senza capo né coda.

A nessuno dei due viene in mente che, in ogni concorso, il piacere di vincere è inseparabile dal rischio di perdere e che perciò eliminare questo vuol dire cancellare quello, riducendolo a una finzione degna di riprovazione o di scherno. A nessuno dei due viene in mente che, alle loro condizioni, il premio non sarebbe più una certificazione di qualità, ma una volgare truffa, se uno soltanto non dimenticasse ciò che Carofiglio chiama “questa cosa”, cioè la vittoria a lui assicurata in ogni caso e a prescindere e che lui spererebbe invece venisse “dimenticata”. Queste le domande “giornalistiche” di Cazzullo (e di Elvira Serra) e queste le risposte “letterarie” di Carofiglio. Esse, in realtà, si commentano da sole e fanno capire perché dopo aver letto una intervista del primo o un libro del secondo nulla rimane nelle mani. Come al palato dopo aver bevuto un bicchier d’acqua.


di Vincenzo Vitale