venerdì 19 luglio 2024
Che cosa accade quando il trafficante di uomini è una bella e determinata giovane tigrina multilingue? Il film Madame Luna del regista Daniel Espinosa, con attrice protagonista Meninet Abraha Teferi, ha per “set” il Mediterraneo dei boat-people e per attore collettivo l’umanità migrante e i suoi sfruttatori. Dall’inizio alla fine la domanda alla quale dover rispondere è la seguente: chi è più criminale tra coloro che gestiscono la tratta di esseri umani e quelli che, una volta arrivati a destinazione, li sfruttano senza scrupoli, come i caporali della raccolta stagionale e la criminalità organizzata, che utilizza il redditizio circuito dell’accoglienza per il riciclaggio di denaro? Quale è la differenza tra i carcerieri del povero fratello di Eli, una seconda giovane e bella profuga tigrina (spedita proprio da Madame Luna in Italia su un barcone della speranza, in partenza dalle coste libiche), sottoposto a torture pur di estorcere ai suoi parenti il denaro per la sua liberazione, e gli altri, quelli della mafia calabrese, che non si fanno scrupoli nello sfruttare il corpo e la fatica dei giovani immigrati per soldi e per il proprio piacere sessuale? Nel film, in fondo, non c’è differenza tra il benessere in astratto e quello criminale, ottenuto dallo sfruttamento delle sofferenze del prossimo.
Nel senso che la civiltà occidentale, con il suo messaggio distorto, diretto nel caso specifico ai derelitti del continente africano, si presenta come una fata turchina dei desideri, in cui il denaro è il dio unico che governa il suo Eldorado. E per il quale la sola merce di scambio a disposizione di chi viene da una civiltà arcaica, che non vale nulla nel tempio dei consumi, è la propria vita di sfruttato, al quale resta l’unica aspirazione ossessiva di ottenere a ogni costo il lasciapassare per la felicità, che si chiama permesso di soggiorno per lavoro o per protezione internazionale. E il film, da questo punto di vista, è un bastimento di polveri, disegnato attraverso tonalità scure, con il culto delle penombre e delle luci malate, che degradano dagli aranci ai gialli, in un paesaggio arido in cui la macchina da presa a mano marca stretto i movimenti e persino le ombre dei personaggi in scena. Il film è in definitiva un biglietto di imbarco per una moderna nave negriera, con al timone lo Stato di accoglienza e tanti incendiari in cabina di comando, sempre pronti a far saltare le polveri, coinvolgendo nel disastro la stiva con tutto l’equipaggio. A bordo, la sofferenza, la rabbia, l’umiliazione della folla ammassata in terza classe girano come una giostra paesana fuori controllo, in cui i numeri vincenti cambiano a caso e nessuna casella è mai quella giusta per ricevere il premio ambito.
Madame Luna è l’assassino, l’artificiere nascosto nella cambusa della sopravvivenza, che contende ai topi il poco cibo contaminato, a disposizione dei suoi disgraziati passeggeri nullatenenti. Le sue notti, nella angusta stanzetta del centro di accoglienza, sono tutte uguali, affollate dai rimorsi per tante vite perdute e annegate di coloro che le avevano consegnato tutti i risparmi, pur di raggiungere a qualunque costo questo nostro Eldorado dello sfruttamento e dell’emarginazione. Lei che non si sa sottrarre al suo destino e replica in terra di accoglienza il suo rito suprematista di negriera, svolgendo funzioni di interprete multilingue al servizio dei gestori del centro, per offrire il suo consistente aiuto al Governo del gregge di migranti privi di risorse, disposti a qualunque fatica pur di sopravvivere. Ma può una guerriera nata, che sa maneggiare come pochi le armi e guidare in battaglia centinaia di donne soldato come lei, rassegnarsi a perdere anche l’innocentissima Eli? Cioè, quel suo alter ego di sventura, triturata dall’organizzazione criminale in terra italiana, che Madame Luna, per riscattarsi, tenterà di portare in salvo chissà dove al prezzo inutile della propria vita, destinata a finire come quella di tanti migranti con il desiderio del ritorno guardando per l’ultima volta il mare da dove si è venuti: unica, vera strada del ritorno.
Voto: 7,5/10
di Maurizio Bonanni