“L’invenzione di noi due”: galeotto fu il Web

giovedì 18 luglio 2024


Che cosa c’è di meglio rispetto alla professione di architetto? “La cucina stellata”, così direbbe il protagonista maschile del bel film L’invenzione di noi due, per la regia di Corrado Ceron, da oggi nelle sale italiane. L’opera è la versione cinematografica dell’omonimo romanzo di Matteo Bussola che narra di una coppia-scoppiata, Nadia (Silvia D’Amico) e Milo (Lino Guanciale), messa assieme da un grande amore di gioventù, ritrovato un giorno per caso nelle strade di Verona. Lei, una scrittrice mancata, perennemente alla ricerca della sua opera prima immortale; l’altro stretto nella morsa dei meccanismi di una professione povera, dove a un mondo di archistar si contrappone un universo di neo o stagionati laureati in architettura, perennemente alla ricerca della sopravvivenza. Come in tutto il mondo libero professionale, i committenti arrivano per conoscenze dirette, che nel caso di Milo offrono lavoretti di lusso sottopagati, mentre il grande sogno nel cassetto di vincere un grande concorso di architettura rimarrà una chimera per il resto della vita, malgrado il sostegno entusiastico di Nadia. Ed è così che un bel giorno Milo getta alle ortiche la sua laurea e si fa spazio nella nicchia dei ristoranti stellati, assecondando la sua grande passione per la cucina. Nadia invece fa l’esatto contrario, facendo mille mestieri, come la redattrice di necrologi, pur di dare una speranza di sopravvivenza alla sua grande passione di scrittrice.

La storia è densa di flashback, in cui un’abile regia ricostruisce con una sapiente tessitura presente-passato un suo personale discorso sulla funzione dell’elastico nella passione amorosa. Quello, cioè, che si tende per migliaia di volte, trasportando con se un’energia incontenibile all’inizio, resistente alle continue tensioni della tempesta ormonale che ti porta a fare l’amore ogni volta che si crea l’opportunità. Un trionfo dell’eros che annega negli sguardi reciproci, nelle correnti tumultuose dei baci e delle carezze senza fine, accompagnati da parole lussuose e calde, scelte tra i mille libri che accompagnano la vita di una coppia giovane, intellettuale e colta. Poi, viene l’usura, lo scollamento quotidiano progressivo e impercettibile, che causa un bradisismo affettivo lento e inesorabile in cui la passione si spegne e annega nella routine del quotidiano. Fino a ritrovarsi dopo venti anni, da sposati, estranei l’uno all’altra in una vita in comune senza figli, senza sorprese e sussulti, nella calma piatta di chi si incontra la sera rincasando, senza nulla da dirsi. Il loro contrappasso è il fratello di lui, Marco (Francesco Montanari), con i suoi piercing, la sua faccia da eterno hippie convivente con una compagna che gli ha dato due figlie, che svolge una sana funzione di alter ego per scuotere il fratello dal torpore affettivo, fatto di silenzi ingombranti, in cui è ormai avvolta la sua convivenza con Nadia. L’elastico si è esaurito, ma i suoi estremi restano indissolubili e legati: Nadia e Milo, che non si lascerebbero mai per nessuna ragione, ricordando la solenne promessa che si scambiarono un giorno.

Ed è lei, compagna tanto amata e mai dimenticata, che nel film opera molte variazioni intellettuali attraverso citazioni colte che parlano dell’amore e delle relazioni, intessute e impastate di vita e di morte, come quella dell’amica libraia di Nadia che affronta da sola, senza compagni né figli, la sua strada verso l’addio precoce, a causa di una malattia incurabile. O come l’esistenza dell’Armando (un commovente Paolo Rossi), che gestisce assieme alla moglie, destinata a scomparire prematuramente, il suo negozietto storico di modellini di treni e di stazioni in miniatura, da cui partono e arrivano i vagoni simbolici della vita, magari immobili, a forma di temperino per matite. E poi c’è l’ossessione e la crisi di coscienza di Milo, che funziona proprio come nel romanzo: Nadia ora non mi amava più, ma sapevo che non mi avrebbe lasciato mai. Questo la stava condannando a un’esistenza di profonda infelicità. Per me era più semplice, perché l’amore che provavo per lei e la promessa che le avevo fatto erano la stessa cosa. Perché in fondo è proprio vero, come sostiene l’autore, che un uomo possa amare il proprio privilegio, incondiviso e silenzioso, di poter vedere in trasparenza, sotto il velo della maturità, il viso della ragazza che Nadia era stata e che solo lui, perlomeno da amante, aveva conosciuto così bene. Sua moglie, invece, ormai non vedeva più niente, né l’uomo che le stava davanti né il ragazzo che, molti anni prima, l’aveva fatta innamorare. Milo era da tempo diventato opaco al suo sguardo, e non sapeva come fare per tornare all’energia iniziale dell’elastico ormai esaurito.

Poi, quasi per caso, arriva l’intuizione fatale da parte di un Milo che vuole disperatamente comunicare il suo grande amore mai sopito alla moglie Nadia: parlarle attraverso una terza persona, fingendo di essere un altro grazie a un falso profilo di Google mail, con cui avvia un rapporto epistolare intenso facendo finta di aver sbagliato indirizzo. Nadia, dalla scrittura, intuisce e corrisponde nell’anonimato, gestendo l’inganno, di cui ne capisce la portata affettiva. A questo punto, come si comporterà quell’elastico rivitalizzato? Si spezzerà definitivamente in due, con nuove e diverse estremità, o tornerà a nuova vita? Per saperlo, bisognerà pagare il pedaggio della relativa visione.


di Maurizio Bonanni