“Gli indesiderabili – Bâtiment 5”: l’altro abitare

venerdì 12 luglio 2024


Uno sguardo ossessivo a volo d’uccello (o di drone) per una presa diretta dello spettatore sullo squallore urbano della funzione abitare, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia popolare di una delle periferie (Les Bosquets) degradate di Parigi, di cui il “Bâtiment-5” è l’emblema, la causa e il suo sintomo. È questa, in buona sostanza, a proposito di banlieue francesi in perenne rivolta, la sintesi di Gli indesiderabili – Bâtiment 5, film di Ladj Ly (regista dei Miserabili), è arrivato ieri nelle sale italiane, distribuito da Lucky Red. Tra i protagonisti figurano: la giovane e brava Anta Diaw, nel ruolo di Habi, una ragazza di origine maliana, nata e cresciuta nel Bâtiment-5 insieme a tutta la sua famiglia. Ed è lei a essere impegnata politicamente in un gruppo per la difesa della casa, e per dare assistenza agli immigrati alle prese con i permessi di soggiorno e la burocrazia francese. Il suo coetaneo e alter-ego al maschile è Blaz (Aristote Luyindula), che vive di espedienti e dà una mano allo zio, meccanico non autorizzato, che ha allestito un piccolo sfascio di macchine proprio di fronte al famigerato condominio. Aumentando così se possibile, con il suo inquinamento del suolo, il profondo degrado urbano e viario del complesso architettonico, di derivazione lecorbusiana. Una (triste) notazione di colore, in proposito: a dispetto del grande maestro francese, le sue opere pionieristiche sono diventate il mito della speculazione edilizia (per la facilità e ripetitività dei moduli costruttivi seriali ed estremamente economici, anche se privi di ogni culto del bello), che ha tratto enorme vantaggio dai suoi edifici prototipali della Machine-à-habiter e della Cité Radieuse.

Vedi da noi quanto è accaduto di simile, con i disastri urbani dell’urbanistica popolare di Corviale a Roma e delle Vele a Napoli. Ma non è certo l’architettura a interessare a Ladj Ly, bensì la fucina di marginalità e di violenza in cui quel costruire cattivo ha dato luogo, inondando gli spazi urbani edificabili di cemento, speculazione e popolazione povera, privandoli di umanità e di bellezza. Il tutto messo al servizio della demagogia politica mitterandiana del costruire a ogni costo Ville Nouvelle di orribili complessi di case popolari nella cintura parigina, per ospitare l’esodo dall’Africa e dal Maghreb degli abitanti delle ex colonie francesi. Gli indesiderabili, però, è una storia di disperazione e nichilismo senza speranza, in cui i colpevoli sono un po’ tutti, fatta salva l’infanzia innocente, dagli amministratori locali, ai politici di ogni risma e colore, ai giovani che non sanno andare oltre la violenza e l’emarginazione rassegnata del piccolo spaccio. Nessuna traccia qui del riscatto di Quasi nemici, quando una giovane aspirante avvocato delle banlieue riesce ad andare oltre l’odio e il razzismo reciproci dei francesi autoctoni e degli immigrati maghrebini e africani, per conquistare il suo posto nella società francese, rendendosi utile alla sua comunità d’origine. Nel film di Ly, invece, la bruttura e la violenza sono i protagonisti indiscussi della storia, raccontata dalla macchina presa a mano, in eterno movimento, che proietta in modo congestionato, compulsivo e ossessivo gigantografie di poliziotti in assetto antisommossa, di volti e corpi di donne, bambini, uomini e anziani costretti nella più totale confusione a scendere lungo rampe di scale e androni bui e sporchi, tra urla, grida e pianti disperati.

Al centro di tutto, la deriva securitaria, per cui si vuole trovare il pretesto a ogni costo per abbattere quegli edifici fatiscenti, convincendo gli inquilini abusivi ad alloggiare “temporaneamente” in strutture alberghiere messe loro a disposizione dagli uffici comunali. A nulla valgono le manifestazioni spontanee per far cessare gli sgomberi, una volta trovata la scusa dell’incendio domestico (in cui la solita casa di abitazione fatiscente era utilizzata per servizi di catering all’esterno e all’interno del Bâtiment-5), che avrebbe causato pregiudizio alla struttura portante dell’edificio. Decisamente troppe le sequenze che descrivono suppellettili calate in basso con cordami improvvisati, mentre materassi e altre povere cose volano dalle finestre, tra urla, pianti e imprecazioni degli inquilini abusivi, per essere raccolte in basso da un esercito di sfollati. Così, la casa borghese del sindaco a interim Pierre (Alexis Manenti), della sua bella moglie impegnata nel sociale e dei suoi due figli piccoli diviene, per contrappasso, la versione unifamiliare e agiata che si contrappone al degrado collettivo e urbanistico del Bâtiment-5, attirando su di sé l’odio incondizionato degli have-not. Allora, come un proiettile a guida laser, la violenza raggiunge senza preavviso e in modo assai sconclusionato la casa del sindaco-sceriffo, creando una frattura insanabile tra lotta politica e pura violenza, in cui né l’una né l’altra hanno soluzioni compatibili di convivenza sociale da poter spendere.

Negli Indesiderabili, infatti, non c’è pietà né per i vinti di sempre, né per i vincitori provvisori, che hanno dalla loro istituzioni e forze dell’ordine. Perché il problema è sempre quello delle periferie urbane degradate, in cui comuni e associazioni di volontariato si trovano privi di risorse materiali e umane, per poter rendere socialmente ed economicamente vantaggiosa la funzione abitare in quei luoghi tanto disagiati, lontani dal cuore pulsante della città e dall’esibizione consumista del benessere sfacciato e arrogante. Oltre il bombardamento a tappeto di questi mostri architettonici e successiva ricostruzione dei luoghi in cui abitare è un piacere vero, c’è un’altra soluzione possibile? Forse no, per davvero.


di Maurizio Bonanni