giovedì 11 luglio 2024
Non fu complotto: gli americani sulla Luna ci sono andati davvero! Questo è, a quanto pare, il messaggio sublimato (di tipo geopolitico attualizzato) che sottende i contenuti del film Fly me to the Moon (oggi in uscita nelle sale italiane), diretto da Greg Berlanti, con Scarlett Johansson, che interpreta una Kelly Jones fantastica e brillante trasformista della truffa pubblicitaria, e Channing Tatum, nel ruolo di Cole Davis, il capo missione operativo del Progetto Apollo per portare gli astronauti americani sulla Luna. Ovviamente, cinematograficamente parlando, il prodotto alla vendita si presenta come una confezione a sorpresa annidata su due livelli, avvolti entrambi in un sapiente rivestimento patinato di una storia romantica tra un burbero asso dell’aviazione, con mega sensi di colpa, e una spregiudicata promoter pubblicitaria. L’uno ascetico e refrattario alle storie sentimentali, in quanto esclusivamente finalizzato all’obiettivo di mettersi idealmente nella capsula spaziale che porterà il Lem sulla Luna con i suoi due astronauti. L’altra, Kelly l’ammaliatrice, determinata alla conquista di quanto più benessere possibile, in base al mito americano che più sei ricca e famosa più esisti, per affermare in primo luogo se stessa come la migliore in campo, riscattando in tal modo un’adolescenza miserrima.
Così Kelly, all’insaputa di Cole, si rivela disposta persino ad aiutare la parte nascosta del Deep State nixoniano, la cui faccia apparente è quella di uno straordinario Woody Harrelson, nel ruolo di Moe Berkus. Ed è lui l’uomo della pioggia che, come il più classico Grande Fratello, sa tutto di tutti e compare come per incanto nei posti giusti, materializzandosi letteralmente nei momenti topici accanto a Kelly, assistita nelle sue malefatte da un’efficientissima giovane segretaria tuttofare (Anna Garcia), rotondetta quanto complice e discreta. Per Moe, tanto per capirci, cancellare un passato oscuro, in cambio di servigi alla sicurezza americana, non è un problema, essendo il padrone dei “files” conservati negli archivi digitali del Dipartimento di Stato e dell’intelligence Usa. Un po’, quindi, perché non si sa mai, un po’ per la Ragion di Stato che tutto supera e travolge (soprattutto la “verità”, da sostituire paganamente con la “verosimiglianza”), accade che il Deep State si senta molto più sicuro nel sabotare le telecamere di bordo della navicella spaziale, per mettere in scena un finto allunaggio su un set cinematografico, mandandolo in onda in diretta (proprio come accadrebbe in una fiction televisiva live), mentre l’Apollo 11 si avvicina alla Luna e sta per sganciare il suo famoso modulo.
E a chi, secondo voi è affidata la truffa spaziale, quella che deve convincere il mondo che l’America è davvero arrivata sulla Luna prima degli odiati sovietici, rei di averla umiliata con lo Sputnik prima e Jurij Gagarin poi? Ma certo: l’incarico segreto non poteva che essere affidato alla regina delle truffe mediatiche, quella Kelly Jones in grado di convincere un regista gay, asso della pubblicità, ad avvalersi di un cast di attori tutto da ridere, in quanto reclutati tra i g-man di Moe, per questioni di riservatezza, per confezionare il finto allunaggio, dal modico costo di più di un miliardo di dollari. Così, il vero protagonista di Fly me to the Moon è un quasi nemico degli umani, un povero gatto nero odiatissimo da Cole, ma beniamino della umanissima Kelly. Secondo voi, come si intermedieranno il rigido Cole e la passionale Kelly? Sarà fattibile un lieto fine, al di fuori della severa stanza dei bottoni di Cape Canaveral, popolata da centinaia di tecnici di ogni livello e conoscenza, con i battiti cardiaci che aumentano alle stelle man mano che la pressione sale e la Luna si avvicina? Ci sta sì o no un bacio liberatorio e rilassante, in cui la truffatrice si pente per amore e il Deep State inciampa nel solito bug con un lieto fine in cui Amore e Verità sono un tutt’uno? Beh, questo lo lasciamo in sospeso, tra le vere sorprese della scatola magica di Fly me to the Moon.
di Maurizio Bonanni