Arte e fascismo, fu vera gloria

mercoledì 10 luglio 2024


Titolo volutamente polemico e “politicamente corretto”, quasi “democristiano”, quello del nuovo libro di Vittorio Sgarbi, Arte e Fascismo. Nell’arte non c’è fascismo. Nel Fascismo non c’è arte edito dalla Nave di Teseo. Ovviamente il nostro pensiero si discosterà dalla “trappola” celata nella copertina, alzando la propria velatura per inseguire una tesi differente da quella suggerita nel volume nato dalla bella mostra del Mart di Rovereto sull’arte del Ventennio. Ora, fermo restando l’utilizzo ormai classico del meccanismo della “polemica” e della “provocazione”, che strizza comunque l’occhio a una certa cultura attuale che vorrebbe attribuire al passato italiano sotto Benito Mussolini ogni critica negativa, mi permetto di avere un’opinione differenziata da questa tesi che vedrebbe, o meglio che proporrebbe, un’assenza dell’arte durante il Fascismo e un’assenza del Fascismo stesso nell’arte.

Premesso che nei secoli, qualunque tipo di Governo, sia dall’età romana sia al Secondo dopoguerra ha, in maniera più o meno esplicita, fatto uso dell’arte come strumento di propaganda, il Fascismo da questo non si discosta. Ma a differenza di altri regimi – a cominciare da quello sovietico – il “culto” e l’attenzione per l’arte, anzi per le arti, durante il regime mussoliniano fu molto più libero e libertario di quanto si possa immaginare. Quindi, se si dà una connotazione negativa al “Fascismo”, allora possiamo affermare che tale esso non fu in questo campo. E dunque non vi fu una ingerenza dispotica nell’arte del suo tempo. Ma noi, oggi, a distanza di un secolo lo guardiamo con occhio lucido e smaliziato, privo di pregiudizi ideologici.

Se è vero che il Duce ordinò e fece stabilire una sorta di “decalogo” al quale l’arte dei suoi anni avrebbe dovuto conformarsi – ricordiamo le “linee guida” tracciate da un uomo geniale e da un grande artista quale fu Ardengo Soffici – è altrettanto vero che nella realtà dei fatti l’arte “fascista” si dimostrò essere sempre estremamente libera e variegata, andando da quella che si rifaceva alla “romanità imperiale” alle più estreme conseguenze dell’aeropittura sino a un avanzato modernismo.

Il Fascismo, lo ricordiamo, non distrusse mai le opere d’arte come purtroppo avvenne nella Germania hitleriana, dove molte di esse considerate “degenerate” vennero arse sul rogo insieme a libri e altro che non si confaceva all’ideologia nazionalsocialista. Dunque, il mio pensiero è che nel Fascismo vi fu arte, non solo, ma che esso fu forse l’ultimo tentativo di restaurare un’arte, soprattutto pittorica e scultorea, in senso tradizionale che si rifacesse al nostro più aureo passato rinascimentale, al nostro Quattrocento, con il Realismo magico e con il Gruppo Novecento di Margherita Sarfatti, l’intellettuale brillante e lungimirante che andò a limitare la fuga materialista del Futurismo con il recupero degli ideali classici quattrocenteschi italiani.

Il denaro che lo Stato fascista fece confluire nel campo dell’arte fu considerevole tra mostre, restauri, conservazioni e finanziamenti agli artisti, cercando di equilibrare una visione antica e una attuale, tra accademia, avanguardia, autonomia e corporativismo di origine direttamente medievale e rinascimentale. Dunque, vi fu un interscambio proficuo e favorevole tra regime fascista e arte, che divenne addirittura modello ammirato – e a volte copiato – da altri Paesi non soltanto europei, in primis dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, ovviamente prima dell’ultimo conflitto mondiale.

Il Fascismo volle nell’arte un “ritorno all’ordine” ma non una sua sclerotizzazione. Sapendo quanto fossero profonde le radici artistiche italiane, la cultura visiva ed estetica del Ventennio non imporrà mai ai propri esecutori una linea uniforme e inderogabile, favorendo in tal maniera il dinamismo dell’espressività artistica come non si vedeva dai tempi della Signoria fiorentina medicea.

Durante il Fascismo l’Italia fu, ancora una volta come nei secoli passati, fulgido esempio di come promuovere e salvaguardare l’arte nostra e di tutto il mondo, agli occhi delle altre nazioni molto meno fortunate di noi in questo campo. Fu la Sarfatti, l’amante del Duce di origini ebraiche, a volere che l’arte di quel tempo fosse “grande arte, di sua natura mistica e leggendaria”, dimostrando così come il regime fosse la prosecuzione ideale e reale della Bellezza rinascimentale e del suo spirito mistico attualizzato a cinquecento anni di distanza, con le sue fughe fantastiche nel Realismo Magico, distaccando di molte misure l’arte più irreggimentata e sclerotizzata della Germania coeva, nonché di quella sovietica.

Fu così libertario il Fascismo che, al fianco di un genio dell’eclettismo architettonico come Armando Brasini, lasciò agire il ben più noto Marcello Piacentini e tanti altri, facendo sì che non esistesse un solo “stile fascista” bensì molti suoi diversificati aspetti, ben lungi quindi dall’imposizione nazista e comunista di un “pensiero unico”. Durante il Ventennio, in Italia, gli artisti furono veramente liberi di esprimersi tanto nei codici tradizionali quanto in quelli più spinti. E in questo caso il regime fu l’ultimo baluardo a una decadenza, anzi a una caduta libera di gusto, di estetica e di bellezza, che avvenne proprio con la sua fine e con l’ascesa delle future Repubbliche, soprattutto nell’ultimo scorcio del Ventesimo secolo sino ad oggi.

Non mi dilungo nel ricordare né gli artisti, il cui catalogo è ben eseguito proprio nella recente mostra al Mart, né tutti gli eventi che soprattutto nei ruggenti anni Trenta il Governo mussoliniano creò per promuovere l’arte italiana a livello mondiale, tra cinema, Belle arti e quant’altro; certamente, facendo sì che quell’estetica, quella visione del mondo, fosse un consenso al regime ma non limitandosi a questo. L’apprezzamento vasto che giunse allora, e che oggi viene lentamente recuperato dalla critica e dagli studi, dell’arte italiana in quei giorni, dimostra come essa fu soprattutto esempio di fulgente libertà al quale si dovrebbe guardare con occhio non inquinato dall’ideologia politica, sempre segnata dall’imperante e onnipresente “antifascismo”.

Il Fascismo come evento storico è concluso e storicizzato da moltissimi anni, un capitolo concluso di un libro ormai riposto negli scaffali, tanto che è inutile paventarlo sempre a sproposito anche nel campo artistico, laddove gli andrebbe riconosciuto l’indubbio merito, invece, di aver protetto, curato e favorito l’arte, la nostra arte italica, i nostri oltre duemila anni di bellezza senza pari, come nessun altro ha fatto dopo di lui.

(*) Arte e Fascismo. Nell’arte non c’è fascismo. Nel Fascismo non c’è arte di Vittorio Sgarbi, La Nave di Teseo, 96 pagine, 15 euro


di Dalmazio Frau