mercoledì 26 giugno 2024
Spiace scrivere di un libro postumo ma è il modo per ricordare, specie quando si tratta di un amico, Giorgio Bosco, ambasciatore, docente di diritto internazionale, autore di libri, saggi, articoli non trascurabili. Lo conobbi molti anni fa, da Armando Verdiglione, soprattutto Senago, vicino Milano, dove Verdiglione stabiliva la sede fondamentale, Villa Borromeo. Bosco, a sua volta, mi fece conoscere Maria Grazia Melchionni, della quale egli era collaboratore sostanziale nel redigere la Rivista di studi politici internazionali (diretta dalla stessa Melchionni), con la quale collaboro. Giorgio Bosco era un uomo alto, lievemente curvo, come sovente gli uomini alti e dopo anche per l’età, signorile, ben messo nel vestire, cordiale, affettuoso, premuroso, inviava ritagli di stampa di argomenti che credeva mi interessassero, ci vedevamo sia nei convegni sia privatamente e anche con Maria Grazia Melchionni. Scrissi una prefazione a un suo libro, Il masso di Sisifo, per le Edizioni Studium e ora sempre Edizione Studium in legame con la Rivista di studi politici internazionali esce un libro, disgraziatamente postumo, dicevo: “La Croce rossa internazionale e il diritto umanitario”.
Ne è promotore anche il figlio Eric. Riguarda il diritto a fini umanitari, la salvezza, come il diritto può tutelare l’uomo: torture, maltrattamenti, impossibilità di difesa, abusi sessuali e quant’altro possa ridurlo a condizione degradata, imposta e ingiustificata. Problematica visibile nella realtà, ardua nei rimedi. Quanti Paesi sono disposti a processare le proprie mancanze, processare sé stessi? Che mezzi possiedono i tribunali, gli organismi internazionali per rendere coattive le loro norme? Quali sanzioni possiedono effettualmente gli organismi internazionali per eseguire inviti, condanne? E poi, il gran sospetto: se gli organismi internazionali accusano taluni Paesi esiste il rischio che sia dovuto alla volontà di intervenire all’interno, svilirlo, additarlo al giudizio mondiale?
Bosco, nella oggettività scientifica cognitiva, rivela tuttavia passione umanistica in difesa dei diritti ad essere, processato, garantito, e nello stesso tempo processato se trasgressore. Straripa di cognizioni, leggi, regolamenti, incontri, il tutto per giungere alla attuazione del diritto non limitandosi alle esortazioni morali. Ma il dilemma persiste: gli organismi internazionali sono sbarrati dalla sovranità nazionale, e per infrangerla occorre forza, addirittura guerra, con i pericoli dichiarati, considerare taluno trasgressore per colpire o limitarsi alle buone intenzioni. Ma Bosco coglie il punto: in ogni caso indicare quanto di inaccettabile “umanisticamente” compiamo contro l’uomo. Conoscere è la premessa dell’agire. Bosco era interessato al futuro, e segnatamente all’automazione. Stiamo andando verso un’epoca di automazione, di laboratorializzazione della vita e della natura, l’uomo si espropria di sé stesso, persino le guerre divengono calcoli automatizzati delegati alle macchine, individuare, colpire l’avversario il più potentemente possibile ma senza un diretto intervento umano, senza vedere il prossimo, l’uomo contro l’uomo. Non che questo non accadeva ma diventerà assoluto.
Ciò potrebbe costituire una perdita di responsabilità sulla tremenda scelta di uccidere. Fanno tutto le macchine. Automatizzazione nel lavoro, laboratorializzazione della natura, guerra che uccide l’uomo “macchinalmente”, che resta dell’uomo nell’uomo? L’uomo deve preservare l’uomo, sentire il peso del bene e del male, e se vuole oltrepassali sia ma restando uomo. Sentendo il superuomo meccanico non è il superuomo nell’umano. Su questo. Bosco dice qualcosa di fondamentale anche in altri aspetti: non delegare al puro calcolo algoritmico sé stessi, mantenere l’umano nel diritto e nella realtà diritto internazionale che deve partire e restare nell’uomo con la responsabilità dell’uomo. L’uomo resti responsabile delle proprie azioni.
(*) La Croce rossa internazionale e il diritto umanitario di Giorgio Bosco, a cura di Maria Grazia Melchionni, prefazione di Massimo Barra, postfazione di Umberto Montuoro, Studium edizioni 2024, 128 pagine, 13 euro
di Antonio Saccà