martedì 18 giugno 2024
Diario di un maestro fu prodotto nel 1972 da Mamma Rai, che all’epoca assolveva a un’inestimabile funzione pedagogica e culturale. Trasmesso in televisione l’anno seguente, lo sceneggiato fu girato dal regista Vittorio De Seta e interpretato dal compianto Bruno Cirino (fratello maggiore di Paolo Cirino Pomicino, politico democristiano ed esponente della corrente andreottiana), un attore versatile e impegnato, che lavorò anche con Eduardo De Filippo. Cirino veste i panni di un giovane maestro che si trova ad affrontare un’esperienza didattica, umana ed esistenziale con i ragazzi e gli abitanti di una delle borgate romane di Pietralata, Tiburtino III e La Torraccia. Lo sceneggiato è liberamente ispirato al romanzo scritto dal maestro Albino Bernardini, Un anno a Pietralata, che racconta un’esperienza di carattere autobiografico. Al centro della narrazione si staglia la contraddizione tra una scuola conservatrice e retriva, gestita da ottusi burocrati, e una scuola più viva, aderente alla realtà e all’ambiente sociale dei ragazzi. Per tale motivo ritengo che lo sceneggiato, benché “datato”, sia attuale più che mai.
Assai illuminante è la scena finale in cui emergono le divergenze, che sfociano in scontro, tra le idee e le proposte innovative messe in campo dal maestro e le posizioni antiquate del direttore didattico, che non riesce a riconoscere e apprezzare il valore, le competenze e le ragioni del maestro. In questa sequenza si evidenzia l’atteggiamento ottuso e reazionario del burocrate. Diario di un maestro è un’opera di alto valore pedagogico, che ci induce a rimpiangere addirittura la tivù monocolore governata dalla Democrazia cristiana di quegli anni. Una Rai che sapeva produrre cultura ed educazione, mandando in onda questo tipo di prodotti, di sceneggiati e programmi televisivi, che erano all’avanguardia per quei tempi. Tale rimpianto è un po’ l’indice di come oggi si siano ridotte la tivù “pubblica” e la cultura del nostro Paese.
Ricordo con enorme piacere, ad esempio, Pinocchio di Luigi Comencini, con un cast di attori a dir poco magistrali: Nino Manfredi (nel ruolo di Geppetto), Gina Lollobrigida (la Fata Turchina), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (nei panni del Gatto e la Volpe), fino a una breve, quanto significativa apparizione di Vittorio De Sica, e tanti altri. Né bisogna dimenticare alcuni sceneggiati che la Rai produsse ispirandosi a celebri romanzi di autori straordinari quali, ad esempio, Emilio Salgari. Su tutti cito lo sceneggiato Sandokan, un autentico “cult” televisivo. Sempre a proposito di tivù di altri tempi, ricordo che qualche tempo fa, su Rai 3, misero in onda la replica di una puntata di Blitz, programma “alternativo” condotto da Gianni Minà durante la prima metà degli anni Ottanta. Il tema centrale della trasmissione era la nuova cultura partenopea (la musica, il cinema, il teatro e via discorrendo) di quel periodo.
Non a caso, tutti gli ospiti di quella puntata, tranne Roberto Benigni, erano di origine napoletana: Massimo Troisi, Lello Arena, Lina Sastri, James Senese e Napoli Centrale, ed altri artisti della “nuova Napoli”. Oggi avverto una profonda nostalgia verso quel tipo di programmi televisivi cosiddetti “alternativi”, che riuscivano a coniugare, con garbo e sapienza, intelligenza, raffinatezza e leggerezza, cultura e intrattenimento, impegno e ironia, senza scadere nella pedanteria noiosa o nell’esercizio sterile di una falsa e accademica erudizione. Oggi si avverte un’amara nostalgia per un periodo storico creativo ed entusiasmante, poiché la tivù odierna dispensa perlopiù spazzatura, mediocrità e stupidità. Una tendenza che, purtroppo, investe l’intera società italiana. Tornando allo sceneggiato tivù Diario di un maestro, benché “datato”, bisogna ammettere che rappresenta un “classico”. E, come tutti i classici, ha ancora tanto da comunicarci: è un “evergreen”. Non a caso, è stato classificato tra i “cento capolavori” del cinema italiano, da conservare e salvare.
di Lucio Garofalo