mercoledì 5 giugno 2024
Ieri Massimo Troisi avrebbe compiuto 71 anni. È mancato il 4 giugno 1994, nella casa della sorella Adriana all’Infernetto, vicino al lido di Ostia. Aveva da poco concluso le riprese del suo testamento cinematografico, Il postino, co-diretto insieme a Michael Radford. Di recente, Mario Martone, in Laggiù qualcuno mi ama, ha delineato un commosso film-ritratto di Troisi. Il documentario, applaudito in anteprima mondiale al Festival di Berlino e poi premiato quest’anno con il David di Donatello, racconta l’eredità del grande attore originario di San Giorgio a Cremano (Napoli). Troisi ha seguito la lezione di Eduardo De Filippo, Totò e Buster Keaton. La svolta della sua carriera alla fine degli anni Settanta. Dopo le apparizioni cabarettistiche con gli amici de “La Smorfia” (Enzo Decaro e Lello Arena), esordosce alla regia con Ricom Ricomincio da tre (1981), cui seguiranno, Morto Troisi, viva Troisi! (1982), Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere (1984), co-diretto con Roberto Benigni, Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore... invece era un calesse (1991).
Il primo “astro” nel cielo di Troisi era stato Pier Paolo Pasolini, poeta amatissimo nel cui nome vinse un premio giovanile di poesia e che imitò con gusto in qualche sketch agli esordi. Venne poi Antonio Petito, la cui vena vernacolare lo portò a rivisitare la commedia dell’arte e la tradizione napoletana. Ma guardando a Pulcinella, già negli anni Settanta diceva: “A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella: l’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide”. Così i suoi primi atti unici da autore calano le maschere comiche in un presente fitto di rimandi alle fatiche della gente comune della Napoli moderna. Fin dalle apparizioni in teatro al Sancarluccio e poi nelle cantine dell’avanguardia romana era chiaro che l’afflato espressivo di Massimo oltrepassava la dimensione provinciale e, come tutta l’arte napoletana di quel periodo, parlava al mondo con un linguaggio sempre più “lavorato” e universale. A portarlo in tivù insieme agli amici de “La smorfia” furono Enzo Trapani e Giancarlo Magalli per il varietà No Stop. Ma in quel nuovo mondo fu Bruno Voglino, inesauribile pigmalione di talenti, a fargli da guida. Dopo quattro anni di successi Troisi si liberò dal lavoro di gruppo (pur restando sempre amico e sodale di Lello Arena) per debuttare al cinema con “Ricomincio da tre”, grazie all’intuizione del produttore Mauro Berardi e al lavoro di sceneggiatura con Ottavio Jemma e la futura compagna Anna Pavignano.
Fu un successo epocale, capace da solo di rilanciare il cinema italiano e portò all’autore due David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro. Ma a partire dal successivo Scusate il ritardo del 1983 apparve chiaro che se da un lato l’autore-attore non si piegava alle leggi del mercato (non batteva il ferro finché era caldo), dall’altro aveva proprio il cuore al centro della sua ricerca poetica. Infatti il film ruota intorno ai dubbi dell’individuo e ai diversi tempi dell’amore, tematiche che avrebbe ripreso costantemente da Le vie del Signore sono finite a Pensavo fosse amore... invece era un calesse. Il Troisi attore trova a questo punto della carriera – forte del clamoroso successo di Non ci resta che piangere – un fondamentale sodalizio umano e artistico con Marcello Mastroianni (in apparenza tanto diverso da lui) e Ettore Scola che lo chiamerà ben tre volte con se da Splendor a Che ora è?, entrambi girati nel 1989, fino al molto autobiografico Viaggio di Capitan Fracassa (1990) in cui riprendeva la maschera di Pulcinella con una folgorante miscela di vitalità e malinconia. Quanto a Il postino, scritto con Furio Scarpelli sulle tracce del romanzo di Antonio Skármeta e affidato per la regia all’amico Michael Radford, si è detto molto. Il film ottenne cinque candidature all’Oscar (raro caso di nomination postuma per lui) e un’ovazione alla Mostra di Venezia del 1994. “Questo film lo voglio fare con il mio cuore”, diceva sul set e per lui, come per l’amico Pino Daniele, fu proprio il cuore ad accompagnarlo all’ultimo passo.
di Eugenio De Bartolis