mercoledì 5 giugno 2024
Esce, analizzando gli ipotetici o reali mutamenti nelle stratificazioni mondiali, La rivista di studi politici internazionali, pubblicazione di anni lontani e sempre viva nell’attualità con uno sguardo comprendente, passato, presente, futuro. È una rivista oggettiva quanto possibile, così la vuole chi la dirige, Maria Grazia Melchionni. Vale a dire: le convinzioni, le opinioni, inevitabili, non devono negare l’oggettività, i fenomeni. La metodologia che Maria Grazia Melchionni esige diventa essenzialissima quando la realtà offre situazioni di inevitabile schieramento opinionale. E il caso odierno, tra i massimamente mutativi. Obbliga a cogliere se il mutamento sia frenabile, irrevocabile, a chi giova come animarlo maggiormente. È palese di che parliamo, e di che scrivono gli autori del mutamento, supposto o reale nella stratificazione dei rapporti internazionali, del resto essenza della rivista. Una sequenza di testi di Luca Micheletta, Marco Mugnani, Dario Velo, Anton Giulio de’ Robertis, e un mio contributo centrano e si articolano nella percezione di questa variazione data per effettiva.
È un “prendere atto” che suggerirei di tenere in vista. Riguarda la difesa europea che va trasformata (Luca Micheletta); del cambiamento delle istituzioni internazionali che dovrebbero tener conto dell’Occidente (Marco Mugnani); della proposta di una federazione internazionale, compresenza tra diversi, a sembianza del Trattato di Westfalia, presso che obbligata in epoca di eventuale guerra nucleare, il federalismo mondiale è nella visione di Immanuel Kant (Dario Velo); Anton Giulio de’ Robertis stabilisce preferenza del Liberal International Order e il Trattato di Helsinki rispetto al neoliberismo. Un mio breve saggio vaglia altri aspetti occupandomi di testi di Antonino Sala, Tommaso Romano, Franco Cardini e miei: la necessità di élite che mantengono la qualità, la civiltà, e l’inevitabilità della coesistenza. Quest’ultimo è l’aspetto del fascicolo che esige analisi.
Ci troviamo in una duplice situazione: una modifica dei poteri egemonici, una concorrenza economica. Il mondo non è quello sorto dal Secondo conflitto mondiale, né quello derivato dalla catastrofe dell’Unione Sovietica. Questa è la realtà “oggettiva” che i testi nominati considerano, opportunamente. Preso atto di tali modificazioni occorre individuarle, coglierne le caratteristiche, stabilire un’azione, positiva o antagonista, dico: da parte Occidentale. I cambiamenti visibili, vistosi, li conosciamo: la Russia non è una disfatta dopo la fine smembrata dell’Unione Sovietica, le sue sterminate materie prime sotto sfera statale le ha sottratte ad acquirenti stranieri e ha invaso il mondo, particolarmente l’Europa, massimamente nella fornitura di energie. La Cina, stravolgendo l’economia collettivista fallimentare e consentendo il profitto imprenditoriale privato, sia pure sotto direttive statali, ha utilizzato gli immani capitali stranieri in quel Paese largiti a grandissima portata per il basso costo produttivo e la soggezione dei lavoratori, reinvestendoli per se stessa. Suscitando un portentoso svolgimento economico, ribaltando la situazione, produttore per sé, dicevo, ed esportatore per sé, stroncando i concorrenti e pervadendo i mercati.
Dal trionfo economico al trionfo politico, egemonico il passo è al fianco. Russia e Cina “entrano” anche nell’Occidente e divengono rivali degli Stati Uniti, i quali, inevitabilmente, colgono il rischio di Russia e Cina nell’Occidente, e altrove, certo. Questa è la “realtà”. Mi pare che gli autori non ritengano la guerra, quella militare, strumento politicamente efficace, anzi ritengo che ritengano opportune forme collaborative, perfino – ho accennato – una federazione mondiale. E non soltanto per il rischio nucleare ma per un evento sconvolgente che analizzo da decenni e sembra stia finalmente rendendosi esplicito: l’annientamento degli attuali sistemi produttivi. Il lavoro si dissolverà, la produzione non verrà dal lavoro, la disoccupazione pressoché totale si affermerà. Avremo milioni, milioni, ancora, e ancora disoccupati. La robotica stretta all’Intelligenza artificiale sostituirà l’uomo laborioso nella produzione e in altro. La produzione senza catene limitanti non avrà acquirenti salariati. Sarà l’anno zero della Nuova Era. Mi fermo. Ne scriverò in un saggio per la Rivista di studi politici internazionali. Può essere letto a proposito quanto dichiarano Elon Musk e Sam Altman. Al dunque, stiamo facendo guerre “vecchie”. Dovremmo, invece, cogliere soluzione a quel che avverrà, per tutti: sistemi possentemente produttivi ma inoccupanti. Chi acquisterà? Ne scriverò. Se non provvediamo sarà la “vera” catastrofe.
Nella rivista, altro. Bichara Khader si occupa e preoccupa della Palestina; Lucia Martines dei pregiudizi di personalità quali Auguste Comte ed Ernest Renan avverso l’Oriente; Franco Damaso Marengo definisce un’etichetta svilente l’accusa frequente di “populismo” agli avversari. Ma torno al punto cruciale. Decisivo prendere atto del mutamento e della irreversibilità del mutamento. Siamo in un mondialismo effettivo che si volge a una radicale metamorfosi dei sistemi produttivi. Con effetti nelle relazioni tra Stati e interni agli Stati. Se qualcuno crede di risolvere la metamorfosi dominando gli altri, sbaglia. In un mondo che si dirige alla fine del lavoro, i problemi saranno di ben diversa natura e globali. O ci salviamo tutti o non c’è scampo per alcuno. Evidentemente da discutere. Proprio un cenno. Me ne occuperò estesamente. Nessuno si dia illusioni, una coesistenza priva di conflitti è impossibile, di certo improbabile e con tensioni, ma non è questo il tratto saliente della faccenda. La novità sta in ciò: limitare con guerre e sanzioni l’altrui forza produttiva e di mercato non vale a risolvere. In tempi di ingigantita produzione e gigantesca disoccupazione, lo smercio non ha luogo anche se la “logica” odierna crede ancora nella conquista di mercati, nello sbarramento della concorrenza. Una umanità che in vastissima parte non percepisce salario costituisce una barriera alla vendita.
A tale condizione le soluzioni non vengono da guerre e sanzioni se non vi sono acquirenti, ma dal suscitare acquirenti. Prevarrà chi renderà sociale la produzione ossia offrirà al consumatore la merce indipendentemente dal contributo di lavoro. Non è utopia, è realismo prossimo. Musk e Altman ne dicono saggiamente e me ne occupo, ripeto, da decenni: questo per una circostanza elementare. La produzione sarà così prodigiosa che non vi è barriera a contenerla. Obbligherà alla distribuzione mondiale! Almeno discuterne. E questo numero della Rivista di studi politici internazionali ne offre motivazione. Completano il fascicolo scritti di Antonello Folco Biagini, Roberto Ducci, Chiara D’Auria, Andry Karashcuk, Tatiana Rostovetska.
(*) Rivista di studi politici internazionali (Gennaio-Marzo 2024, Anno 91) diretta da Maria Grazia Melchionni
di Antonio Saccà