“Diari d’amore”: borghesia in fiamme

giovedì 30 maggio 2024


Che cosa c’è dietro il sipario del Teatro Argentina di Roma fino al 2 giugno? Fragola e panna e tanto Dialogo: due racconti in uno di Natalia Ginzburg, raggranellati nell’unico titolo di Diari d’amore, per la direzione teatrale di Nanni Moretti che, coraggiosamente, mette la sua testa nel boccascena. Questo perché, dal punto di vista della regia, si tratta pur sempre di un avventuroso viaggio in terra incognita, il fatto di tradurre un testo scritto per una commedia in un copione teatrale, trovando l’accordo e gli attori giusti per l’occasione. Possono le “chiacchiere” uccidere qualcuno? Una persona, forse no, ma una classe sociale di certo sì. Così, il primo atto è un “letto disfatto” (la rima ribadisce il concetto), in cui il matrimonio sfibrato di Marta (Alessia Giuliani) e Francesco (Valerio Binasco) mostra le sue ferite aperte non più sanabili né dal tempo, né dalle parole, tra le cui smagliature si insinua la polemica comune di lui e di lei contro una domestica assai poco attenta, anche perché disistimata e malpagata. Ma, come al solito, anziché mirare diritto al cuore del problema di coppia, entrambi scelgono un percorso fortemente antiergodico, nel senso che i famosi due punti (“è finita, ti lascio”) tra lo stare assieme e il separarsi non sono uniti da una retta, percorso ergodicamente ottimale, ma da un inviluppo di nodi che occorrere percorrere tutti indistintamente per arrivare dall’altro capo del filo del ragionamento. E, anche in questo caso, è la donna ad aver preso l’iniziativa di farsi l’amante, coincidente guarda caso con il migliore amico del marito. Per di più, assecondando una pruderie molto borghese, il tradimento avviene all’interno di uno scenario potenziale di scambio di coppie, realizzatosi solo per la prima metà, forse per mancanza di risolutezza di Francesco, il coniuge tradito.

Tutto è prologo nel dialogo tra sordi di questa folgorante rivelazione finale: un appartamento che lui non sopporta più e ne sogna uno simile alla loro coppia amica benestante, con la quale stanno organizzando assieme un viaggio in Spagna, per scoprire che l’altro marito è l’amante della propria moglie. E, in entrambi gli episodi, la scrittura sottile e caustica della Ginzburg dipinge il farfallone maturo fedifrago come una specie di paguro che, se minacciato da un discorso di coppia serio e risolutivo, in cui gli si impone di lasciare casa e moglie per la nuova compagna, si ritira precipitosamente nel suo carapace. Perché, soprattutto per un uomo, non si lascia la vecchia strada per la nuova, nel caso che quest’ultima sia un’incognita piena di tornanti e non si abbia così tanta voglia e coraggio di ricominciare tutto da capo. Così, al momento in cui lui, protagonista del primo episodio, dopo aver pagato non pochi gelati a sua moglie quando erano innamorati, è disposto a fare la valigia con la sua maglia celestina e andarsene (finalmente!) di casa, viene spiazzato dal defilarsi dell’altro che parte per la Spagna assieme alla sua famiglia, lasciando all’amante delusa solo il cane a custodire. La situazione invece si rovescia letteralmente in Dialogo. Qui è la moglie Flaminia (Alessia Giuliani) a commuoversi senza darlo a vedere del triste spettacolo offerto dalla giovane amante di lui, in odio al cinismo del marito Cesare (Valerio Binasco), che trita avventure sotto il suo naso, di lei ormai avvezza all’aroma acre dei tradimenti coniugali.

In Dialogo, l’unico essere vivente a volare alto, per simpatia, empatia e profondità dei rapporti umani, è Tosca (un’esilarante Daria Deflorian), la governante di casa dello stagionato avvocato. Lui che è fuggito a Londra per non incontrare la sua ultima avventura, Barbara (Arianna Pozzoli), una giovanissima donna con un figlio e un marito violento, che invece Tosca ha accolto con affetto materno, aprendo la casa alla sfortunata ragazza, infreddolita e affamata. In entrambi i casi, è l’indifferenza del coniuge tradito (Francesco nel primo episodio e Flaminia nel secondo) a fare la differenza tra bene e male, il giusto e l’ingiusto, in cui la formalità dei rapporti coniugali, in base alle leggi non scritte della buona borghesia, tiene in piedi la facciata del mutuo, silenzioso disprezzo tra coniugi esausti. Ed è solo la sensibilità delle donne, domestica, moglie e cognata (Giorgia Senesi) dell’avvocato, a preoccuparsi di trovare una qualche sistemazione provvisoria alla giovane ragazza disperata, nel timore che faccia un gesto sconsiderato, non potendo tornare a casa dal marito al corrente della sua tresca. Invece, con grande cinismo, l’uomo, il responsabile di tutto, non solo pensa di rimanere accanto a una donna che non lo ama e lo disprezza ma, addirittura, grida al colmo della possibile tragedia: “Ma che si suicidi pure!”. Un congedo tombale per l’amore coniugale!


di Maurizio Bonanni