Patrizia Debicke van der Noot: la storia come narrativa di fatti

venerdì 17 maggio 2024


XIX secolo, inizi del capitalismo anche in Italia, gli allargamenti dei mercati, prodotti durevoli, esportabili, gli spazi semifeudali si fanno angusti. Persino la Germania, spezzettata, ha suscitato intese doganali. Ma l’Italia, in mani straniere, non può certo attuarla tra Piemonte e Lombardia e Veneto. Questi ultimi sotto ammanto austriaco. La Francia e l’Inghilterra erano Stati nazionali da gran tempo. La dinastia dei Savoia, oggi smemorizzata, aveva generato momenti e personaggi gloriosi, persino in ruoli europei. E nel XIX secolo si ammodernava economicamente, anche nell’agricoltura. Oltretutto ebbe la buona ventura di soggetti idonei a finalità consistenti. Un sovrano, Vittorio Emanuele II, che intendeva riscattare la sventurata impresa del genitore Carlo Alberto, perdente nel tentativo di sottrarre la Lombardia agli austriaci, ma che edificò lo Statuto e che raccolse i patrioti banditi altrove. Oltre a un primo ministro che fu, e rimane, il massimo realizzatore degli scopi prefissati e non solo. Scaltro, passionale e freddo, con mentalità internazionale, ossia cercando di intrufolare il Piemonte nell’Europa, spalleggiato da chi può aver bisogno del Piemonte e può utilizzarsi ai bisogni del Piemonte, modernizzatore in economia, laico nel pensiero, liberale, non privilegiando, tutt’altro, uno Stato confessionale. Certo che il Nord, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e in aggiunta la Sardegna, costituivano un volume di spicco. Ebbene, Camillo Benso conte di Cavour, evidentemente, è il soggetto al quale intestare le doti e gli scopi descritti. Regge per un decennio le sorti del Piemonte e scolpisce le sorti dell’Italia.

Cavour ammira l’Inghilterra, la conosce, ma deve scovare qualcuno che ha bisogno del Piemonte e abbisogna al Piemonte. Uno che ha voglia di conquiste, uno che vuole rinnovare le glorie passate ma non è reale di famiglia. Lo stesso nodo del Primo Napoleone. Cavour comprende l’insieme, le mire internazionali e nobiliari di Napoleone III. Il Terzo Napoleone cerca dominio, cerca gloria, tenta di non rivelarsi una macchietta rispetto a Napoleone Bonaparte, cerca pure di imparentarsi con qualche aristocratica reale. Quest’ultima esigenza non lo riguarda. Egli ama ed è sposato con Eugenia, bellissima, non regale se non per bellezza. Colui che potrebbe infiltrare nei discendenti napoleonidi l’aristocrazia regale è un cugino dell’imperatore, a sua volta figlio di un fratello del Primo Napoleone, il suo nome è  Napoleon. È il punto dal quale origina il romanzo storico di Patrizia Debicke van der Noot, Figlia di re: un matrimonio per l’Italia (Ali Ribelli Edizioni). Cavour ha stabilito con Napoleone III accordi, a Plombières, verrà aiutato militarmente dalla Francia se l’Austria si renderà nemica del Piemonte bellicosamente, in compenso di una vittoria che assicurerebbe al Piemonte Lombardia e Veneto, il Piemonte cederebbe alla Francia Nizza e Savoia. A fianco di queste sorti territoriali la richiesta: che una Savoia sposi un napoleonide. Dicevo: Napoleon, cugino dell’imperatore, collaboratore dell’imperatore, devoto all’amore per le donne più dell’imperatore, appassionato di cultura, archeologia, viaggi.

Ha quarantaquattro anni, la eventuale sposa sarebbe una Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, una fanciulletta appena adolescente, Clotilde. Clotilde è informata, chiede tempo, conosce Napoleon, ne viene presa. Sì, lo sposerà. Cavour si stringe le mani, la “piccola” Clotilde abbandona l’amato padre, gli amati congiunti in Francia. Qui, Napoleon la rispetta, la possiede con piacere e Clotilde ha piacere di dare e sentire piacere. Non vi è difficoltà nei corpi, ardua la convivenza. Napoleon è sfrenato, a non agire si annoia irato, è fautore eccelso della causa italiana, ha ricadute con una trascorsa amante, paziente ma altera. Clotilde pena, giunge a voler conoscere la bellissima amante, prezzolata di Napoleon. La solitudine cerca di rimediarla con la passione per l’equitazione. Napoleon anch’egli spesso è sconfortato, non tutti concordano in favore dell’Italia, meno ancora con l’ostilità al Pontefice ed al potere temporale della Chiesa. Tra questi nemici dell’Italia, un altro napoleonide, Alexandre Colonna Walewski, figlio naturale di Napoleone I, ministro agli Esteri. Napoleon è un “passaggio” dell’imperatore Napoleone III con Vittorio Emanuele II, di cui è ormai genero, Cavour, Costantino Nigra, e i patrioti italiani, tra costoro un francese amantissimo dell’Italia, Alessandro Dumas, il quale di certo sarà grato a Patrizia Debicke van der Noot per la raffigurazione da moschettiere regale che ne fa.

Nessun figlio dal corpo di Clotilde, e ne soffre. Ne soffre Napoleon, un figlio che prosegua i napoleonidi, un figlio che dia compagnia a Clotilde. Talvolta sembra a Clotilde, sembra, il ciclo interrotto. Sarà madre, lo dichiara: Napoleon è gioiosissimo. Illusione. È sola Clotilde, la sorella dell’imperatrice Eugenia, la Duchessa d’Alba, viene dalla Spagna in Francia, conosce Clotilde, sorge una vicendevole voglia di incontrarsi. Si intendono ma, incredibile, pochi giorni e la Duchessa D’Alba muore. Clotilde è sovente come tralasciata da Napoleon. No, non è che non la ami: forse la rispetta soltanto, o forse le piace il corpo così giovane, tanto concesso. Ma ecco, infine, la guerra. E sono gli austriaci a dichiararla. Dunque la Francia interviene, è la nostra leggendaria Seconda guerra d’indipendenza. Battaglie vinte, dai piemontesi, dai francesi, da Giuseppe Garibaldi, immancabile. Ahimè, vittorie limitate, Napoleone III ferma la guerra. Teme la Prussia? Teme il disordine europeo? Teme renitenze interne? Al dunque, fine, non il Veneto, soltanto la Lombardia, e neppure dall’Austria al Piemonte, ma dall’Austria alla Francia, dalla Francia al Piemonte. Cavour è intossicato, intenderebbe guerreggiare da solo, i piemontesi, Vittorio Emanuele accetta la conclusione. Cavour in bile spasmodica si dimette. Ma sono schermaglie. La Storia ha una sua processione di eventi e cova oltre le apparenze e suscita svolgimenti. Il movimento franoso strapiomba. Tutta l’Italia subbuglia, freme. I gruppi borghesi, le fluttuazioni liberali, l’Inghilterra, la Francia, una sua cospicua parte vogliono che l’Italia sminuisca l’Austria, o addirittura che sminuisca la Francia retriva, sia che sia, sempre Garibaldi, e l’ombra di Giuseppe Mazzini, e Re Vittorio, il Sud, il Regno delle Due Sicilie, laggiù, l’impresa dei Mille, la nostra epopea, un museo dell’eroismo, Garibaldi sovraneggia nella mitologia del tempo.

Il Sud è preso, anche altre porzioni. Il regno pontificio resiste in parte, il Pontefice scomunica vacuamente. Le regioni si uniscono al Piemonte. Vittorio Emanuele II è il sovrano l’Italia, manca il Veneto, manca Roma, la Città eterna della nostra civiltà nella Storia. Ma non vi è rinuncia, attesa. Verrà il giorno di Roma Capitale. Debicke van der Noot è informata e accesa, conosce Nino Bixio, Alfonso La Marmora, e pure la eroicomica Sofia. Conosce Nigra, persone, personaggi, guerre, morte, morte, morte. Epopea e spietatezza. Anche tra di noi. I piemontesi non intendono dare posto ai garibaldini, meno che meno ai mazziniani. Clotilde esulta ma teme che il Pontefice soffra, è molto credente. Il romanzo sta chiudendosi. Un viaggio nell’America, al momento della Guerra civile, l’aristocrazia del denaro al Nord, e l’iniziale industrialismo, la schiavitù, bassi salari, il cotone al Sud. Ma non c’è Storia, se mai natura archetipica, e le cascate del Niagara la rappresenta mentre le sterminate ferrovie appaiono l’emblema del gigantismo americano. L’aristocrazia del denaro cerca di rendersi aristocrazia come stile di vita. Clotilde ne scrive ai familiari, Napoleon fa considerazioni su questo immane Paese privo di Storia. Tornano in Francia, Clotilde e Napoleon. Accade quel che da anni invocavano. Clotilde sarà madre. Suppongo che Patrizia Debicke van der Noot continuerà la vicenda. Che la fermi quando i protagonisti recitano ancora mi sembra difficile. Quindi, non aggiungo notizie sul futuro. Aggiungo che il modo di ridare vita alla storia, coniugando espressività sensibile e verità degli accadimenti, ha nella Debicke van der Noot una esemplarità trascinante. Un romanzo che leggiamo come storia, una storia che leggiamo come romanzo. Una documentazione trasfigurata in espressione. La Storia che torna all’antichità, quando se ne curavano studiosi “scrittori”.

(*) Figlia di re: un matrimonio per l’Italia di Patrizia Debicke van der Noot, Ali Ribelli Edizioni, 342 pagine, 15 euro


di Antonio Saccà