mercoledì 8 maggio 2024
Sulla pace e sulla guerra è da rilevare quanto scrive Immanuel Kant, di cui ricorre il duecentoventesimo anniversario della morte. Ne ho scritto. Kant è rinomato per la sua fiducia nella ragione. Tutti gli uomini, afferma, sono razionali. Dunque, sarebbe facile intendersi e l’intesa avverrebbe sui valori: trattare l’uomo come fine non come mezzo, farsi legislatore e suddito delle leggi, fare leggi universali. Ho ritenuto inammissibili tali principi. Se un uomo ritiene che gli altri siano suoi strumenti, perché dichiararlo irrazionale. Semmai prepotente, nemico, non irrazionale. Identificare razionalità con il bene è non sostenibile. In realtà il pensiero di Kant, giudicato il filosofo che assegnò alla ragione il compito di guidare l’uomo, è più complesso. Kant, addirittura, nega che la ragione possa dimostrare, capire, conoscere Dio, il mondo, le cose esterne a noi come sono in sé. Si comprende che siamo in una situazione paradossale. Kant è ritenuto il filosofo che esalta la ragione, ma di fatto delimita radicalmente i poteri della ragione. Vi è un campo nel quale Egli, in un certo senso, coglie come la natura umana sia tutt’altro che guidata dalla ragione e rivolta al bene. Nel suo testo Per la pace perpetua, Kant analizza l’incredibile, inaccettabile, a suo giudizio, culto della guerra, dell’eroismo bellicoso che gli uomini dimostrano. Il gareggiare negli armamenti, la facilità con la quale i sovrani (il potere) gettano alla rovina i popoli.
In questo saggio, Kant nega la disposizione degli uomini alla razionalità. Tutt’altro. L’uomo si distrugge e distrugge e i reggenti, dicevo, favoriscono questa disposizione distruttiva, anzi la eccitano se giova al loro potere. Addirittura, Kant coglie un fenomeno che stiamo sperimentando: il gareggiare nell’armamento più distruttivo, invece di gareggiare per il bene gareggiare nel massimo di distruzione. Kant non accetta alcuna guerra, non vaglia le guerre sociali, le rivoluzioni, ma risalta aspetti importanti: che occorre un potere costrittivo alla pace, in quanto gli uomini non sono indotti per natura alla pace; che occorre confederare l’intero mondo e garantire anche gli Stati deboli; e, fondamentale, rinunciare da parte di chiunque a voler dominare il mondo; siano o no mete illusorie. Oltretutto, manca l’aspetto del benessere dei popoli. Certo, però, che a gareggiare negli armamenti si va verso la catastrofe. Infine, Kant giunge a concepire che non è un bene voler costringere con la guerra i popoli a cambiare affrettatamente.
Non è il caso di vagliare l’insieme delle opinioni di Kant, ma è decisivo un aspetto, il seguente: indipendentemente dalle ragioni o dalle pretese dei contendenti, se rendiamo la gara degli armamenti e la trasformazione dell’economia in economia di guerra rendendo la produzione delle armi fonte di occupazione e commercio, irrimediabilmente le armi vanno impiegate, altrimenti sono merce morta che, oltretutto, invecchia rapidamente. Ora, il modo per utilizzare le armi pare sia la guerra. Dunque, è l’avvertimento di Immanuel Kant, si vuole la guerra o si finisce in pasto alla guerra per irresponsabile vanto armamentario? Un’altra deduzione dal testo di Immanuel Kant: a proclamare la volontà di sconfitta dell’avversario si perde la possibilità di non indegni accordi, dunque la guerra perpetuata. Possibile esistano esclusivamente vittoria e sconfitta guerresca? Ma Kant ha qualcosa da dire, di ulteriore.
Prevenire le cause della guerra e soprattutto prevenire la mentalità della guerra, indurre gli uomini a comprendere che ogni guerra suscita nuova guerra o comunque cagiona l’irrevocabile, la morte. Allora, lo schiavizzato dovrebbe sopportare la schiavitù? Certo che no, occorre che non vi sia schiavitù. E se qualcuno tenta di imporla? La Confederazione internazionale avrà modo di reagire. Senza guerra? Senza guerra, dice Kant. Utopia! Non più del ritenere che la gara degli armamenti non trascini inevitabilmente perfino in una guerra tragicissima che nessuno diceva di volere. Il colmo dell’irresponsabilità. Meglio gridare: voglio la guerra!
(*) Per la pace perpetua di Immanuel Kant, Universale Economica Feltrinelli, 176 pagine, 8,55 euro
di Antonio Saccà