Al Quirino “La buona novella” con Neri Marcorè

giovedì 18 aprile 2024


Al Teatro Quirino, sino al 28 aprile, Neri Marcorè torna a confrontarsi con Fabrizio De André, a 25 anni dalla sua scomparsa, in un nuovo spettacolo tra il teatro e la canzone, basato su La buona novella, l’album pubblicato dal cantautore genovese nel novembre 1970. E ritenuto, da molti critici e semplici appassionati di Faber, il suo assoluto capolavoro, proprio come pochi anni prima –1964 – capitò a Pier Paolo Pasolini con Il Vangelo secondo Matteo, in un contesto culturale-mediatico di riscoperta del profondo valore libertario e solidaristico del messaggio di Cristo (una riscoperta che negli Usa avveniva nel contesto della celebre Jesus revolution, destinata a culminare, 2 anni dopo, nello storico Jesus Christ Superstar).

De André nel 1970 – dopo aver già dedicato a Cristo, anni prima, la canzone Si chiamava Gesù – si cimenta anche lui con la vita del più grande personaggio della storia stessa. Lo fa con i suoi tipici registri espressivi, spesso tributari della tradizione francese degli “chansonniers”. E, cosa significativa, rifacendosi non ai Vangeli canonici, ma largamente a quelli apocrifi (soprattutto il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo arabo dell’infanzia). Di taglio esplicitamente teatrale, La buona novella è un lavoro costruito quasi nella forma di un’opera da camera, con una partitura e un testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname (che sta costruendo le croci per Gesù e i due ladroni, Tito e Dimaco, e nella cui bottega entra una Maria sconvolta dalla probabile condanna a morte del figlio), il popolo. Da questa base prende le mosse la versione teatrale (drammaturgia e regia di Giorgio Gallione), dove Marcorè – spalleggiato da Rosanna Naddeo e altri bravissimi interpreti – ripropone i 10 brani dell’lp di Faber in un contesto musicale (curato da Paolo Silvestri) di grande maestria e suggestione. Quest’ultima aumentata da una scenografia (di Marcello Chiarenza) al tempo stesso semplice e grandiosa (con la ricorrente presenza di una scala, che ricorda la celebre scala del sogno di Giacobbe nell’Antico testamento).

Ma cosa scriveva di quest’opera, all’epoca, De André stesso? La buona novella – sottolineava Faber dal suo punto di vista di laico con tendenze anarchiche (vedi anche Tutti morimmo a stento e Storia di un impiegato), che nulla capiva, per sua onesta ammissione, di metafisica o di teologia, ma guardava soprattutto al messaggio sociale di Cristo – era una allegoria. Che “si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e delle istanze, da un punto di vista spirituale, sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e, secondo me è, stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”.

Le musiche, oltre che di De André, sono (nei brani di pianoforte e con la presenza del coro) di Gian Piero Reverberi, nonché di Corrado Castellari. Con forte capacità evocativa, Marcorè commenta poi i momenti della “più grande storia mai raccontata”, dal punto di vista degli evangelisti apocrifi, soffermandosi specialmente sulle storie di Maria e dell’infanzia di Gesù (appena accennata, com’è noto, dai Vangeli canonici). E anche sulla Sfida fatale di quel mese di nisan a Gerusalemme, anno 33 dell’Era volgare.

È commovente, e molto coinvolgente, risentire oggi brani come Il testamento di Tito, dove il buon ladrone ripercorre, in chiave ironico-libertaria, i dieci comandamenti. Mentre il coro Laudate Dominum della fine, uguale a quello dell’inizio, diventa, nell’ottica d’un Cristianesimo il più possibile umanitario, un tolstoiano Laudate hominem. Chiudono le note della stupenda e indimenticabile Il pescatore. I costumi sono di Francesca Marsella, le luci di Aldo Mantovan.


di Fabrizio Federici