venerdì 12 aprile 2024
Quando un problema serio come la tutela dell’ambiente è affrontato da attivisti, politici, giornalisti, intellos in modo spesso improbabile e, non poche volte, involontariamente comico, il contrappasso è che a criticarlo sia un divulgatore scientifico come Vince Ebert, ma anche stand-up comedian. È la legge del contrappasso: a comici involontari replica un comico professionista. Come scrive Mario Abbadessa nella prefazione, il saggio “si identifica nella tradizione che attraversa tutta la storia del pensiero occidentale, che vede nell’arma dell’ironia la tecnica migliore per smontare quelle che a volte appaiono come verità consolidate. Ironia e preparazione scientifica per avere uno sguardo lucido e aperto sul mondo”. E in effetti, usare l’ironia per argomenti seri ha generato alcune delle opere più acute e divertenti della cultura europea: dalle Provinciali di Blaise Pascal al Tartufo di Molière, dalla Sacra giraffa di Salvador de Madariaga all’Ispettore generale di Nikolaj Gogol’. Gli è che gli argomenti, ironicamente demoliti o ridimensionati da Ebert, hanno in comune il connotato, prevalente, di trarre conclusioni apocalittiche da fenomeni di rilevanza assai più modesta, preoccupanti per il benessere di persone e comunità, ma del tutto inidonei a causare la fine del pianeta.
Altre presentano evidenti errori, logici e non. Ad esempio la sostenibilità ambientale. Diversi ambientalisti ritengono che la crisi climatica sia dovuta al capitalismo. Ma Ebert ricorda che di solito “i Paesi economicamente più liberi hanno anche i punteggi più alti nell’indice di sostenibilità ambientale. I Paesi economicamente meno liberi sono quelli che hanno anche i valori peggiori di sostenibilità ambientale. Da un punto di vista ecologico, il capitalismo non sembra essere il problema ma la soluzione”. E la Cina, sia quando era comunista che post-comunista è il più grande bruciatore di carbone del pianeta. Poi c’è la pressione di gruppo, cioè il ripetere corale (e coordinato) delle tesi ambientaliste. Ebert scrive che a tanto chiasso il più delle volte corrisponde un riscontro reale modesto. “Se un extraterrestre atterra in Germania, legge un giornale qualsiasi, visita un sito di notizie, guarda una televendita o facendo zapping capita un talk show politico, crederà che per i cittadini di questo Paese quasi niente è più importante del cambiamento climatico”. Ma non è così. Stando ai dati reali “attualmente 1,6 per cento dei tedeschi mangia vegano, il 5,7 per cento degli alimenti acquistati è bio e la quota di auto elettriche è dell’1,2 per cento”.
La conclusione è che l’indifferenza è prevalente perché il Ragnarok ambientalista non è un pensiero che preoccupi le masse “il mainstream non è ciò che pensa la maggioranza, ma ciò che la maggioranza pensa che la maggiorana pensi”. D’altra parte, se la Cina ha triplicato negli ultimi vent’anni le emissioni di Co2 e Sudafrica e Nigeria investono in centrali a combustibili fossili, è chiaro che, anche se le richieste dei catastrofisti climatici fossero integralmente accolte a Parigi, Londra e Berlino, l’effetto sul riscaldamento globale sarebbe insignificante data la modesta percentuale europea di inquinamento. Nel complesso, è un saggio che in un dibattito carico di scomuniche e anatemi, porta l’aria fresca della ragionevolezza.
(*) Non è ancora la fine del mondo di Vince Ebert, traduzione di Simona Piangatello, prefazione di Mario Abbadessa, Collana Altrove, Liberilibri, Macerata 2024, 192 pagine, 18 euro
di Teodoro Klitsche de la Grange