venerdì 29 marzo 2024
Dune: Part Two ha confermato il successo del suo predecessore, Dune, uscito in sala nel 2021. Denis Villeneuve è riuscito dove due mostri sacri della cinepresa hanno fallito, come David Lynch – che ancora non riconosce il suo Dune del 1984, un flop al botteghino e per la critica – e Alejandro Jodorowsky. Quest’ultimo avrebbe dovuto dirigere la prima trasposizione cinematografica della saga di FrankHerbert, ancor prima che le Guerre Stellari creassero quello che è adesso il minimo comune divisore di tutto l’immaginario fantascientifico nel mondo del cinema.
Per il ruolo dell’Imperatore, Jodorowsky aveva contattato Salvador Dalí – che pretendeva un compenso di 100mila dollari l’ora e una giraffa in fiamme sul set – e per vestire i panni del sanguinario Barone Harkonnen il regista cileno voleva assoldare Orson Welles. Mick Jagger avrebbe dovuto interpretare il guerriero Feyd-Rautha. Jodorowsky infine si presentò ad Abbey Road mentre un famoso gruppo rock inglese stava registrando il suo nuovo album per chiedergli di comporre la colonna sonora del suo Dune: erano i Pink Floyd, che stavano lavorando sul loro capolavoro Dark side of the moon. Sebbene David Gilmour e compagnia al tempo accettarono la proposta, nessuno volle finanziare il film (servivano 15 milioni di dollari), del quale il fumettista Gene Giraud – meglio conosciuto come Moebius – aveva già prodotto circa 200 pagine di storyboard.
Allora Jodorowsky e il disegnatore francese, decisi a non gettare via tutto il lavoro fatto fino a quel momento, firmarono insieme una saga di sei libri a fumetti dal titolo Un’avventura di John Difool, ribattezzata L’Incal nella successiva ristampa del 1998. Utilizzando e implementando lo storyboard del Dune che mai ha visto la luce, Moebius e il regista della Montagna Sacra hanno messo su carta una space opera unica nel suo genere, con innumerevoli sinonimi (e contrari) presi dai romanzi di Herbert, visto che il film di Jodorowsky sarebbe stato – usando un eufemismo – solo in parte ispirato alla saga dello scrittore statunitense.
Il detective privato Difool, che si è trovato quasi per errore (o era destino?) immischiato in una feroce lotta tecno-politica è l’opposto di Paul Atreides, mentre la casta dei Meta-Baroni è palesemente la trasposizione di Moebius e Jodorowski dei feroci Harkonnen. La spezia è diventata l’amorina, mentre le Bene-Gesserit nell’Incal sono i Tecnopreti. Il regista cileno e Giraud hanno preso un romanzo fantascientifico già pregno di politica e l’hanno condito con concetti jungiani e molti riferimenti ai tarocchi – John Difool sarebbe “il matto” (the fool), un arcano maggiore che nella cartomanzia rappresenta l’energia originaria del caos, ma anche l’innocenza e la follia – molto cari a Jodorowsky.
In questo modo, i due artisti visionari si sono allontanati decisamente dai romanzi di Frank Herbert, creando un’opera a tutto tondo che non ha nulla da invidiare alla saga di Arrakis, anzi.
di Edoardo Falzon