giovedì 28 marzo 2024
Il film del regista Todd Heynes, dal titolo May December, è un po’ lungo. Gli ultimi venti minuti sono un po’ faticosi. Un’opera in cui si confrontano due attrici Premio Oscar: Natalie Portman e Julianne Moore. La storia è ambientata nell’America multietnica di Savannah (Georgia). La nota attrice Elizabeth Berry (Natalie Portman) intende fare ricerche su Gracie Atherton-Yoo (una eccezionale Julianne Moore bionda e di rosa e di lilla vestita), una donna che ventitré anni prima, all’età di trentasei anni, è stata colta in flagrante a letto con Joe Yoo (Charles Melton), un compagno di scuola tredicenne del figlio. Il loro amore era stato così come è tuttora: un amore vero. Per il ragazzino lei ha lasciato il marito e il figlio. Elizabeth deve interpretare Gracie in un film in produzione sul caso. Il regista intende “fotografare” l’amore ritenuto dalla società “diverso”, ma che è vero amore. Elizabeth vuole conoscere bene il “personaggio” per interpretarlo al meglio. Così, l’attrice si affianca a Gracie. Ma la donna, a un certo punto, comincia a non sopportarne la presenza, pur avendola fatta pericolosamente “entrare in famiglia”. L’attrice, infatti, semina zizzania e seduce Joe, suo coetaneo. L’ex ragazzino, ora adulto, ha conosciuto in realtà l’amore con la moglie adulta. È indubbiamente interessante il rapporto tra le due donne. Il regista ci mette di fronte a due persone molto diverse.
La prima, la moglie dello scandalo, realizza e vende torte di mirtilli fatte con la ricetta della nonna. Ama e viene amata da chi lei ha scelto. Ha momenti di sconforto in cui si appoggia e viene aiutata dal marito ex adolescente. La seconda donna è più “oscura”, anche nei vestiti sobri e cupi. Si descrive come molto intelligente e figlia di intellettuali. È spesso preda di attacchi di panico e di asma. Le manca l’aria. L’attrice soffoca per l’ansia più o meno repressa della sua vita. Evidentemente il regista, già autore del film Carol sulle vicende di una donna benestante lesbica, indaga e “punta” dritto allo spettatore mostrandogli due realtà, una di spontaneità e di verità, e una di finzione. Il “gioco” del regista è agevole perché getta le maschere tra le braccia del pubblico e chiede: verità o finzione? Amore vero pur con scandalo da parte della società o finzione e ansia e niente amore? La realtà però non è mai così netta, non è così tranchant, e il regista non può non saperlo.
di Guia Mocenigo