Domenico Pierini: “Quando dirigo, mi soffermo sull’aspetto umano”

giovedì 28 marzo 2024


Virtuoso del violino, il Maestro Domenico Pierini ha suonato a fianco dei più prestigiosi direttori d’orchestra di tutti i tempi. È stato, infatti, primo violino per Riccardo Muti, che lo ha voluto nelle orchestre del Teatro alla Scala e alla Filarmonica della Scala (Milano), mentre per Giuseppe Sinopoli nel 1999 è stato primo violino presso le Orchestre del Teatro dell’Opera e dell’Accademia nazionale Santa Cecilia di Roma. Primo violino anche per Claudio Abbado (2002-2007) e, per oltre un ventennio, collaboratore del grande Zubin Mehta. Il Maestro Pierini nel 2007 fonda l’Orchestra da camera del maggio fiorentino di cui è direttore artistico e con la quale incide anche diversi dischi. Mentre nel marzo 2011 viene nominato “General Musik Director” dei Wiener Kammersymphonie. Il suo curriculum è impreziosito anche da importanti collaborazioni con l’Orchestra sinfonica di Barcellona, l’Orchestra sinfonica di Bilbao, l’Orchestra del Teatro la Fenice di Venezia, e l’Orchestra Arturo Toscanini, per le quali è stato violino solista. In occasione dell’86° Festival del Maggio musicale fiorentino, il maestro concertatore Pierini sarà impegnato in quattro date da non perdere: il 14 maggio presso il Santuario di Santa Verdiana (Castelfiorentino), il 15 a Pieve di San Pietro a Cascia, (Reggello) il 16 a Pieve di San Pietro in Bossolo, (Barberino Tavarnelle) ed il 17 a Pieve di San Lorenzo (Borgo San Lorenzo).

Quando e come si sviluppa la sua collaborazione con il Maestro Zubin Mehta e con l’Orchestra del Maggio fiorentino?

La mia formazione musicale si compie a Livorno, città nella qualche sono nato. Nel 1988 il Maestro Mehta, con il qualche avevo suonato alcuni anni prima in occasione di una audizione privata, si ricordò di me e mi volle a Firenze come “Primo violino-di spalla”. Avevo 21 anni. Dal 1990 sono invece primo violino dell’Orchestra del Maggio fiorentino.

La emoziona maggiormente dirigere una grande orchestra o suonare il suo violino solista?

Sono due esperienze completamente differenti, perché diverso è il carico di responsabilità che viene richiesto: se un direttore non è capace di coinvolgere emotivamente tutti gli elementi dell’orchestra, il rischio è che venga compromessa la qualità dell’intero concerto. Suonare il violino da solista mi dà invece una grande possibilità espressiva. Il carico di adrenalina è altissimo. E non è affatto vero che esso, con gli anni e con l’esperienza, diminuisca. Anzi…

Lei ha suonato con grandi direttori della scena internazionale come Claudio Abbado, Giuseppe Sinopoli, Riccardo Muti e Zubin Mehta. Può provare a tracciare il loro profilo artistico?

Sono molto diversi, sia per scelta del repertorio musicale proposto, sia per caratteristiche tecnico-direttoriali. Per fare solo un esempio, il Maestro Muti (che conosco assai bene), si dedica prevalentemente al grande repertorio italiano ma anche a quello meno conosciuto, che lui va a riscoprire con un attento “lavoro di cesello”. Con Claudio Abbado ho suonato per 5 anni, sotto suo diretto invito, nell’Orchestra del Festival di Lucerna, affrontando il repertorio tedesco come Anton Bruckner e Gustav Mahler. Zubin Mehta è stato invece uno dei direttori più eclettici con cui abbia mai lavorato. Tutti questi grandi musicisti sono tuttavia legati da un comune denominatore, che io condivido in pieno: la necessità di soffermarsi sui particolari di ciascuna esecuzione strumentale. Nonostante la società in cui viviamo oggi, con la sua frenesia, sembra non riesca a cogliere più la preziosità dei dettagli. Muti, in quest’ottica, va davvero contro corrente. Il Maestro dedica molto tempo alla spiegazione della partitura, soffermandosi su ogni singola sfumatura, di modo che i musicisti ottengano la migliore esecuzione possibile. Questa sua attitudine la trovo davvero speciale.

E lei quando dirige la sua orchestra su cosa si sofferma per ottenere la migliore esecuzione possibile?

Mi soffermo sull’aspetto umano, cercando di coinvolgere emozionalmente i musicisti. Se questi “entrano nella musica” abbandonandosi completamente a essa e superando così i limiti che la tecnica e il virtuosismo possono generare, si possono raggiungere livelli esecutivi straordinari. Consideri che è successo più di una volta di ottenere risultati incredibili dirigendo orchestre considerate mediocri.

Quali sono i compositori a cui si sente maggiormente legato?

Ho un debole per Ludwig van Beethoven e per il suo Concerto per violino, che ritengo raggiunga Dio. Ma anche per la Sonata a Kreutzer. Inoltre, sono particolarmente legato ad alcune composizioni di Niccolò Paganini.

Paganini rimane uno dei musicisti più discussi e controversi di tutti i tempi.

Sì, per via anche della sua vita: Paganini amava girare i mondo, amava il “benessere”. Le sue composizioni dovevano stupire il pubblico. Lui era pagato tantissimo anche per questo. E poteva permetterselo essendo un grandissimo virtuoso. Tuttavia esiste anche un “altro” Paganini, rintracciabile per esempio nel suo Cantabile in Re maggiore per violino e chitarra; un’opera di una bellezza e di una spontaneità straordinarie. Adoro quest’opera perché ci mostra un’altra anima del musicista, completamente diversa da quella del “Paganini pubblico”.

Lei suona un violino Giovanni Battista Guadagnini del 1767. Un vero gioiello…

Mi è stato dato in prestito dall’Associazione Peterlongo di Milano, per diretto interessamento del Maestro Zubin Mehta. Esso è appartenuto al grande virtuoso di violino (nonché amico di Brahms) Joseph Joachim. Sono davvero innamorato di questo strumento.  

Cosa augura al teatro italiano?

Che venga maggiormente seguito e “incoraggiato” dalle istituzioni. Il nostro teatro, che ospita alcune delle orchestre più prestigiose del mondo come quella del Maggio fiorentino, è un bene culturale di valore inestimabile. È un vero e proprio tempio dove ogni volta si perpetua una comunione di intenti e uno scambio umano al quale nessun essere umano può rinunciare. Il teatro è vita, come lo è la musica. E la musica stimola il pensiero. Che altrimenti si atrofizzerebbe.


di Gianluca Attanasio