mercoledì 13 marzo 2024
In una società sempre più indirizzata verso un oblio culturale, in cui il conformismo omologante degli influencer sembra incidere maggiori impressioni di quanto possa determinare la letteratura, resiste ancora una nicchia di menti pensanti, che con la loro intima sensibilità provano a risvegliare i sensi della ragione sia esprimendo la loro personale poetica sia denunciando in modo narrativo i mali dei nostri tempi. Questo è quanto emerge dal libro Zucchero filato della giornalista Valentina Pelliccia, che con questo suo racconto declina la storia della protagonista Colette con tutte quelle sfumature e quella delicatezza narrativa che solamente una certa sensibilità femminile è in grado di rendere così suggestiva e affascinante.
La storia di Valentina Pelliccia ricorda, mutatis mutandis, quella dello scrittore Fernando Pessoa, in quanto l’autrice, pur svolgendo una professione di funzionaria di banca e quindi aliena dal mondo letterario, è riuscita a sviluppare una vita parallela (come fece lo stesso Pessoa) con il suo talento narrativo, sprigionando tutta la sua vena descrittiva e intimistica con un libro che coinvolge i sentimenti più profondi. Per i succitati motivi, ho reputato giusto porre le seguenti domande direttamente all’autrice.
Valentina, a quanto pare il suo libro le ha dato parecchie soddisfazioni?
Nel 2004 ho vinto la settima edizione del Concorso di narrativa nazionale “Valerio Gentile” con il mio primo romanzo Zucchero filato, ottenendo così come premio la pubblicazione dell’opera. Il libro si è classificato anche al secondo posto nella sezione “Opere edite” del Concorso di creatività letteraria 2012. Inoltre, ad agosto 2020, con Zucchero filato, sono stata premiata nella sezione Narrativa del secondo Concorso letterario “Tre colori”, che si è svolto all’interno della XXII edizione del Festival internazionale cinematografico “Inventa un film”, ideato e diretto da Ermete Labbadia. A marzo 2024 Zucchero filato è stato pubblicato con una nuova casa editrice di nicchia, Pagine.
Come descriverebbe il suo libro a chi non lo conosce ancora?
Secondo il professor Pietro Magno, ci troviamo di fronte ad un libro in apparenza semplice, chiaro, lineare, tanto che riesce a recuperare la funzione della trama. Però, leggendolo più attentamente, vi si notano delle forme stilistiche complesse. La sua struttura, infatti, ricorda le cadenze tipiche della tragedia classica. Come modello narrativo ricorda il quarto libro dell’Eneide di Virgilio, in cui l’evolversi dello sfortunato e, soprattutto, impossibile amore di Didone verso Enea è presentato secondo le cadenze tipiche del dramma. Un altro elemento importante è il fato… Ma questo fato, che incombe ineluttabile, non è assolutamente avvertito all’inizio dalla ragazza. E questo è il tipico espediente della tragedia classica. Si pensi ad Edipo, dapprima felice e potente, e poi, a mano a mano che scopre la sua orribile verità, sempre più misero e abbandonato da tutti. Pur essendo su tutta un’altra dimensione rispetto al mito, dal punto di vista psicologico vi sono delle indubbie analogie. Sino alla fine Colette ignora il suo destino, non può che ignorarlo; nonostante vi siano dei preannunci, questi ultimi vengono colti da chi legge, dallo spettatore (dal coro anticamente). E cosa di più tragico che ignorare sino alla fine il proprio destino? La violenza viene rimandata a un momento all’apparenza senza pericolo; ma l’appuntamento finalmente con Alberto, la gioiosa fretta nell’arrivare, farà prendere alla ragazza la scorciatoia sbagliata attraverso una via semi oscura e non frequentata, ove avverrà il fattaccio. Quella che doveva essere l’apoteosi si trasforma nell’inferno. Ne deriva una descrizione quanto mai lancinante come una lama che penetra. Soltanto alla fine si compie la purificazione, la catarsi della tragedia, col risveglio dal torpore mortale grazie ad Alberto, al suo ragazzo che le ritorna vicino. Sono i motivi per cui questo romanzo, secondo il prof Pietro Magno, riesce a pervenire al simplex et unum oraziano (Ars poet, 23), condizione ancora valida per stabilire quanto un’opera risponda a canoni di compattezza.
Come descriverebbe la figura della protagonista Colette?
Colette, la protagonista di Zucchero filato, in realtà rappresenta una figura a sé, la metafora della purezza e dell’ingenuità, in una società che talvolta di pulito e incoraggiante non ha nulla. Colette vuole essere un grido disperato, ecco perché, a distanza di anni dalla pubblicazione del romanzo, quest’ultimo rimane assolutamente attuale. In una società in cui spesso regna l’egoismo dell’essere umano, la cattiveria, meccanismi poco chiari e cristallini, la protagonista appare come “portatrice di una missione”: lottare con tutta sé stessa per ristabilire i sani principi e valori di un tempo. La contraddizione tra la purezza della protagonista e la cattiveria dell’uomo più grande, chiuso nel suo mondo, crudele, è ciò che caratterizza tutto il romanzo. Zucchero filato non vuole essere una semplice storia, bensì, un romanzo di rottura, che possa portare a coglierne il significato più profondo e autentico.
In una società dove la violenza è sempre più crescente anche nei confronti della donna, che messaggio ha voluto mandare con questo libro?
Affrontare il tema della violenza sessuale non è stato facile, ma volevo mandare un messaggio di speranza e questo lo si può ottenere facendo affrontare al proprio personaggio eventi traumatici affinché poi possa dimostrare ai lettori tutta la sua forza per rinascere.
Con questo messaggio di speranza dell’autrice di Zucchero filato possiamo essere un po’ più ottimisti sul fatto che non tutti si siano appiattiti su una sconcertante indifferenza verso quell’humanitas che rappresenta o dovrebbe rappresentare il perno della nostra società, oramai, ahimè, in balia di un pernicioso oscurantismo sentimentale.
Ubi societas ibi sensus
(*) Zucchero filato di Valentina Pelliccia, Pagine editore, 74 pagine, 23 euro
di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno