venerdì 1 marzo 2024
Com’è fatta la Costellazione Hack? Così come la descrive il film tivù Margherita delle stelle (che andrà in onda su Rai 1, nella prima serata di martedì 5 marzo), un biopic sulla vita della scienziata e astrofisica italiana di origini svizzere, Margherita Hack. Liberamente ispirato al suo libro autobiografico, Nove vite come i gatti, è un film affascinante, commovente e di ottima fattura. Coprodotto da Rai Fiction e Minerva Pictures, si avvale di un cast prestigioso di attori (Cristiana Capotondi, Flavio Parenti, Cesare Bocci e Sandra Ceccarelli), di una regia appassionata (Giulio Base), di una sceneggiatura (Monica Zappelli e Federico Taddia) e di una struttura scenografica particolarmente attente alla ricostruzione d’ambiente, come quello studentesca, politica e familiare che ricrea una struggente Firenze prebellica. Qui, Margherita nasce e cresce nello sport fascista, negli studi mai troppo brillanti (ma Albert Einstein fece ancora peggio alla sua età!) e in famiglia, affermandosi poi nella vita professionale con la sua eccelsa qualità del duro lavoro quotidiano (e notturno!). Di lei, non traspare alcuna ombra, perché il suo toscano vernacolare (così simile a quello dell’Oriana Fallaci!) è discretamente messo da parte, mentre vengono giustamente esaltate le sue qualità di auto-affermazione. Ed è grazie a una grande forza “tranquilla” dietro la macchina presa che il film ha l’impagabile pregio di far emergere a tutto tondo il carattere e la personalità dell’astrofisica Margherita Hack, nata negli Anni Venti del XX secolo e prima donna in Italia a dirigere un Osservatorio astronomico come quello di Trieste.
Della protagonista, come in una Galleria degli Uffizi, dove Margherita bambina scorrazzava temeraria mentre sua madre traeva copie di grandi opere esposte, si possono trarre alcuni quadri fondamentali. Il primo riguarda lo sport, che le ha dato la forza di non mollare mai, anche nei momenti più duri. Perché poi, “si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al 1938, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali”. Educata da due genitori davvero impagabili per la loro condotta morale e intelligenza educativa, Margherita fu allenata alla libera responsabilità delle proprie idee e scelte. Così tenne fede a questi insegnamenti quando, a conclusione delle gare littorie, lesse in pubblico (allontanandosi dal rigore di suo padre, che aveva perduto il lavoro di impiegato pubblico per non aver voluto giurare fedeltà al regime) una formula rituale da pronunciare durante la premiazione, in cui a quel tempo i vincitori giuravano lealtà alla patria e al fascismo. Fu lei a confessare a posteriori: “Avevo finito il liceo e mi ero allenata duramente per quelle gare. Allo stadio c’era tutta la mia città, era un grande onore per me. Avevo vinto la medaglia d’oro, dovevo giurare anch’io: lo feci. Un atto di viltà. Quel giuramento fu un compromesso con me stessa. Promettemmo di obbedire alla patria e al regime e per me quello fu una sorta di spergiuro, perché ero contraria al fascismo da quando erano entrate in vigore le leggi razziali”.
Il secondo quadro riguarda la sua foto di un “interno di famiglia”, in cui nella gioventù di Margherita risalta soprattutto il rapporto di grande affetto e fiducia con il padre, mentre si sviluppa in parallelo quello con il suo futuro marito, Aldo. Al quale i suoi colleghi malevoli assegneranno il nomignolo di “moglio”, per la devozione (modernissima) da lui dimostrata per Margherita, assecondandola nei momenti più difficili a proseguire la sua carriera di scienziata, in base a un connubio coniugale rasentante la perfezione. Nel loro caso esemplare si anticipano di molto i tempi della “parità” (che per Margherita riguardava solo una questione di particelle!), per cui era la figura maschile a porsi in secondo piano rispetto a quella femminile, sulla base di un amore sconfinato e ammirato. Anche se verrebbe da evocare in proposito un forte nesso psicanalitico in seno alla loro storia di coppia, in quanto Aldo, avendo visto l’ombra della morte per una malattia polmonare, aveva tratto la forza di vivere proprio dall’energia incontenibile e “stellare” della sua Margherita. L’ultimo quadro riguarda l’aspetto più puramente professionale, in cui una donna, per lunghi anni sola tra tanti colleghi uomini, riesce a confrontarsi alla pari sul piano della scienza, di per sé asessuata, come già aveva insegnato a tutti Maria Curie.
E ha un che di vagamente esoterico persino la scelta di Sveva Zalli, l’attrice in fiore (come una giovane “Margherita”, appunto), deliziosamente brava e piena di brio nell’interpretare la Hack bambina. Curiosamente, infatti, nel suo vissuto autentico riecheggia la personalità adolescenziale della scienziata, come emerge dalla sua biografia nascosta, con una storia di giovanissima atleta che, all’improvviso, scopre per caso la sua precoce vocazione di attrice, grazie a una sorella miniregista improvvisata e al Covid. Di certo, il talento della Zalli ha assunto le forme espressive più mature sotto la direzione attenta di Giulio Base, che nella ricostruzione dei rapporti adolescenziali della Hack ne ha impreziosito il profilo, con il suo tocco sempre assai delicato e discreto. Resta un rammarico, però: data l’abissale ignoranza scientifica dell’italiano medio, forse si poteva approfittare della formidabile traslazione divulgativa affidata alla figura del marito Aldo, per accennare a temi fondamentali come il Big Bang, il red shift, le nane bianche, le stelle di neutroni, le giganti gialle e, infine, a quel che resta di vita al nostro Sole. Dobbiamo attendere la prossima puntata?
di Maurizio Bonanni