martedì 13 febbraio 2024
L’ecologia può convivere con la tecnologia? “Ecologia e tecnologia non sono forze antitetiche. Anzi, se le osserviamo bene, sono due forze determinanti, che pare danzino insieme. La natura è la vita e la tecnologia, in quanto opera dell’uomo, fa parte della natura stessa”. All’interrogativo sulle relazioni tra ecologia e tecnologia Ferdinando Codognotto ha cercato una risposta fin dal 1985. Il quesito è attualissimo e al centro di una riflessione che riguarda intellettuali, ecologisti, economisti, ma anche artisti ed esponenti dell’high-technology. Codognotto “una risposta” l’ha trovata e realizzata nelle sue opere lignee: spighe di grano, uva, uccelli, uomini del futuro, il sole, il mare, i pesci, le sue prodigiose macchine e tutta l’enorme produzione fondata sulle simbologie tratte dall’albero della vita. “Queste simbologie – spiega l’artista – rispondono agli ingranaggi di un solo incommensurabile computer: la natura”.
Chi è Ferdinando Codognotto? Per chi non avesse avuto l’avventura di incontrarlo nei suoi intensi 83 anni di vita e non avesse frequentato il suo laboratorio-studio-salotto di via dei Pianellari 14, a Roma, Ferdinando è uno degli scultori del legno più noti del contemporaneo. Un artista la cui fama corre dall’Italia, all’Europa, alle Americhe, al Giappone. Non credo vi sia personalità o collezionista che non abbia nelle teche e scaffali i suoi rami d’ulivo, i suoi fiordalisi o i cavalli, o i nomi intagliati, o i rosoni iconici, cioè un’opera piccola o grande, che spazi dalle intuizioni leonardesche fino alle suggestioni fantascientifiche alla Blade Runner. Dal 2015, in omaggio alla amatissima moglie Luigina, Ferdinando ha inaugurato la Fondazione Luigina e Ferdinando Codognotto, uno spazio ordinato, che offre un viaggio nella mente e nella produzione di questo singolare testimone del tempo. Nelle sale, accanto a una selezione delle sue produzioni, si può percorrere l’arco di conoscenze di quanti non hanno potuto fare a meno di diventare “i suoi amici”. La singolarità di Codognotto, proprio l’unicità, sta nello sguardo di un saggio capace di penetrare l’io più recondito dei suoi estimatori. Significa che egli, l’artista canuto, ti scruta, ti osserva, fa domande e poi crea la tua immagine lignea. Può essere un simbolo, un dettaglio, il nome, ciò che più rappresenta.
Questa particolare introspezione, in 83 anni di vita, non l’ha esercitata solo con i suoi clienti, ma con i tanti che gli hanno reso visita e omaggio. Per cui ecco l’impressionante galleria di foto che lo ritrae con l’imprenditore Giovanni Rana, con Claudio Baglioni, con Lorella Cuccarini, con Renato Zero, con il clan Tognazzi (da Ugo, ai figli, a Simona Izzo, di cui è amicissimo), ai più celebri rappresentanti di tutti gli ambienti. Spiccano Madre Teresa di Calcutta, Ennio Morricone, Anthony Quinn, Vittorio Gassman, Anna Moffo. Non so dove guardare, non si tiene il conto. Fino a che l’occhio si posa su una lettera del 1994 firmata Bettino Craxi, in cui è scritto: “Al mio amico artista grande, magico, generoso”. Poi si scorge la foto di Papa Francesco e si vede distintamente che Jorge Maria Bergoglio stringe un albero ligneo, realizzato da Codognotto su commissione del ministro dell’Ambiente italiano e dei ministri dell’Ambiente europei che, a pochi mesi dalla Conferenza di Parigi del 2015, furono ricevuti in udienza speciale nell’Aula Paolo VI. Accanto spiccano i ringraziamenti di Mario Draghi all’epoca in cui era presidente del Consiglio. E ancora una lettera toccante del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in occasione della inaugurazione della Fondazione ha scritto: “La sua arte scultorea, sintesi tra natura e tecnologia, è una testimonianza culturale importante nel nostro Paese. Sono sicuro che essa troverà nella Fondazione uno strumento capace di raggiungere un pubblico sempre più vasto e di coinvolgere i giovani”.
I giovani sono il tema dell’incontro. Che cosa si può trasmettere alle nuove generazioni dell’arte del legno, della bottega artistica, del lavoro dello scultore? Mi accorgo che Ferdinando Codognotto si fa serio e silenzioso. “Sono nato a San Donà di Piave nel 1940”, inizia a raccontare. “Mio padre faceva il giardiniere e nonno il vivaista. Già all’età di cinque anni lavoravo il legno, la creta e realizzavo pastori. La fortuna fu arrivare a Venezia, dove iniziai a sedici anni a frequentare le botteghe. Poter stazionare davanti alle entrate era già un’occasione e parlare con un artigiano segnava un traguardo. Tanta pazienza, tanta abnegazione! Uno mi disse a questa statua manca una mano, vuoi provare? Ci misi tutto l’impegno e così iniziai il restauro di oggetti antichi. Quante mani, braccia e pezzi di statue ho rigenerato! L’essenziale è la volontà di imparare, il lungo tempo dell’apprendista è il bagaglio del futuro. Prima di dire faccio l’artista, lavoro da artista, bisogna diventare un artista. Non si possono bruciare le tappe, è un percorso che può durare tutta la vita”.
Nel 1963 Ferdinando Codognotto giunge a Roma e apre il laboratorio di via dei Pianellari, dove ancora lo si può vedere lavorare tra chili di segatura, legni di ogni tipo e pile di carte. Il fatto di stare fronte strada, dove passano turisti e persone, è stato un grande vantaggio. Un giorno si è fermato anche Eduardo De Filippo, attratto e incuriosito, il quale prima di andarsene gli ha lasciato scritto: “Ce vo’ fatica”.
La fatica dell’artista. “Riusciamo a spiegarla ai ragazzi e alle ragazze? – si chiede scettico e perplesso – o siamo come ricattati dall’illusione di semplificare, ma così facendo li inganniamo con la visione di un mondo e di un’esistenza fragili, vuoti, irreali. Non saremo buoni padri e buoni avi se non riusciremo a trasmettere agli studenti che non è solo fatica quella che produce intelletto, perché nella fatica c’è la passione. E la passione è quello che rende possibile, centrale, irrinunciabile un’occupazione, un mestiere, tanto più se fa parte delle arti. Il trasporto, la convinzione, l’ardore nel fare e saper fare sono la via della leggerezza del compiere”.
Le botteghe? “Stanno scomparendo. Un declino che pare inarrestabile, ma sarà un danno gigantesco per l’Italia e per il made in Italy. Non basta lanciare un progetto sui mestieri artigianali, perché il problema non sono solo gli investimenti e gli spazi, ma chi insegna. Le botteghe non vanno da sole. Il motore sono i Maestri. Se si vuole salvare l’artigianato occorre impiegare le personalità ancora vive, fare prestissimo, trovare il modo di elevarli a testimoni per consentire loro di tramandare storia, abilità, qualità, capacità, talenti. Mi sono spiegato? Occorre immaginare docenze speciali accanto ai ruoli tradizionali della scuola. Se le eccellenze italiane non saranno utilizzate come magister super omnia nelle scuole e negli istituti, l’Italia rischia di perdere il suo genio e il primato del prodotto. La missione della politica dovrebbe essere quella di riuscire a connettere i giovani con chi può loro tramandare i mestieri”.
Ferdinando Codognotto, oltre al legno, ha coltivato l’amore per sua moglie Luigina: “Se non ci fosse stata lei, non ci sarei stato io”. Ha due figli: uno lavora come tecnico in Rai, mentre Lorenzo ha ereditato la passione paterna e lo segue a bottega. Ferdinando ha tanta storia da raccontare, un fiume di aneddoti, una montagna di ricordi, massime e perle di vita calde come i suoi legni. Passa la giornata in laboratorio, fronte strada, a porte aperte, pioggia o vento che sia. Se nessuna trasmissione, nessun presentatore o giornalista piazzerà una macchina da presa per collegare questo canuto esponente della cultura e arte italiana con la platea televisiva, sarà una perdita per la gloria e la fama.
di Donatella Papi