martedì 6 febbraio 2024
Tempi duri per l’Arte pittorica in questo nostro Paese. Tempi oscuri laddove invece avremmo voluto vedere luci e splendori su opere e artisti meravigliosi, in un flusso ininterrotto di ricchezza che l’arte e la sua storia, porta sempre con sé quando è ben curata con amore, competenza e passione. Tra non molti giorni aprirà a Forlì, quella che sarà senz’altro la più bella mostra dell’anno, sui pittori della Confraternita dei Preraffaelliti, e che quindi farà dimenticare tutte le altre, compresa quella sul Goya e quella attuale che tanto, troppo, inutilmente sta facendo discutere a Genova, ovvero la mostra su Artemisia Gentileschi a Palazzo Ducale, che forse nella Superba neanche mai ci mise piede.
Artemisia è un po’ come il Caravaggio. Con tutta la simpatia per entrambi, sinceramente però hanno un po’ stancato e sarebbe bene che per qualche anno si vedessero meno esposizioni delle loro opere, tranne quelle aperte costantemente al pubblico essendo in chiese come San Luigi dei Francesi o in Santa Maria del Popolo, a Roma.
La Gentileschi non è l’unica donna pittrice, ricordiamolo, ce ne sono altre, forse anche migliori in quei secoli d’ombre profonde e d’inusitati bagliori. Artemisia, figlia del pittore amico fraterno di baruffe e zingarate del Merisi, Orazio, seppur eccellente pittrice è diventata “famosa” ai nostri giorni in quanto assunta a “icona femminista” ˗ quando Frida Khalo non bastava più ˗ del movimento “Me Too” e altri similari, riducendola così di fatto a una minima parte della sua importanza storica e artistica.
La protesta “rosa” adesso si dirige verso una parte della mostra genovese che è stata denominata “sala dello stupro”. Attiviste del collettivo “Non una di meno”, tutte unite nel medesimo grido che vorrebbe ottenere la sua chiusura e addirittura la rimozione dalla libreria di Palazzo Ducale di alcuni oggetti ricordo riportanti frasi di Agostino Tassi, l’uomo, l’artista, che abusò della giovane e persino il libro La notte tu mi fai impazzire. Gesta erotiche di Agostino Tassi scritto da Pietrangelo Buttafuoco. Tutto ciò, ritenuto offensivo della donna, dovrebbe essere fatto sparire dalla vista del pubblico.
Qualcosa di già visto e già sentito, per chi come me si occupa d’arte costantemente da decenni, qualcosa che mi rievoca tristemente le rivolte dei “piagnoni”, gli anatemi di Fra’ Savonarola contro i pittori “eretici” della Firenze medicea, ma ancor più le devastazioni dei “sanculotti” e quelle contro “l’arte degenerata” nella Germania degli anni Trenta. L’iconoclastia, sia che venga sostenuta da motivazioni politiche sia da quelle religiose è sempre un male.
Nessuno, ne sono certo, dei curatori ha voluto fare un’apologia dello stupro, anzi au contraire, bisogna avere il coraggio di guardare negli occhi l’orrido mostro che troppo spesso viene ancor oggi taciuto e che al tempo di Artemisia, lei fu una delle poche a osare portare alla luce, si aggirava pressoché indisturbato nelle botteghe degli artisti e in molti altri luoghi. “Patriarcato tossico”, diranno le attiviste. Peccato che ancora nessuno, o forse pochissimi, abbia avuto l’onestà intellettuale di affermare l’assoluta verità che non soltanto non sia mai esistito alcun “patriarcato” anche in epoche storiche e in contesti profondamente maschili, ma come siano state proprio le donne a dominare, realmente, fattivamente e con grandi risultati ˗ sia nel bene sia nel male ˗ in ogni campo storico, sociale e artistico.
La società culturale e artistica del Rinascimento, nelle città di Roma e di Venezia, per esempio, era in mano alle più eccelse cortigiane dell’epoca, ed erano loro a controllare segretamente la politica, più di tanti cardinali, duchi, sovrani e anche di qualche papa. Bisogna studiarla e conoscerla la Storia per non dire sciocchezze. Tullia d’Aragona, Olimpia Maidalchini, Lucrezia Borgia, Caterina de Medici e prima ancora Eleonora d’Aquitania o Matilde di Canossa furono le supreme dominatrici culturali dei loro tempi, in un vero matriarcato di fatto. Studiamola la Storia, studiamo l’Arte!
Ben venga allora la mostra Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione, attualmente in corso al Palazzo Ducale di Genova, senza ipocrisie né falsi timori, con il coraggio di mostrare un milieu, quello di quattro secoli or sono, composto di sublimi bellezze e da infami crudeltà e violenze, perché questo è il mondo, dove spesso, purtroppo, alla grandezza dell’animo degli artisti che creano opere immortali si affianca altrettanta brutalità, e sangue e morte. Condannare la violenza è sempre giusto e lo era nel primo Barocco così come lo è oggi, ma nascondere proprio questo dietro motivazioni ideologiche quali quelle prospettate dai collettivi di sinistra trovo sia un atto contrario alla conoscenza delle cose.
Artemisia Gentileschi fu violentata da Tassi, amico di suo padre… sì, diciamolo, così come lei lo disse, con maggior coraggio di quanto ne serva ai nostri giorni, e quindi viene ricordata soltanto per questo? No, non si può né si deve ridurre la sua importanza a un atto inaccettabile, quindi che si comprenda giustamente come quell’azione esecranda fu determinante per la sua espressione artistica. Nessuna giustificazione per Agostino Tassi, nessuna scusante per chi commette violenza sui più indifesi, allora come oggi, ma cerchiamo di comprendere che non è richiedendo la rimozione di scritti o di immagini che si rende un buon servizio alla condanna dello stupro.
L’Arte non può né deve essere morbosa, lubricamente viziata dagli sguardi lascivi dei vecchi che squadrano di sottecchi Susanna mentre si lava, perché l’arte è Bellezza e Verità, anche quando è offesa dalla violenza e dunque mediante l’Arte si osa mozzare il capo gorgoneo del male senza esserne pietrificati.
di Dalmazio Frau