“Te l’avevo detto” e di più non chiedere

mercoledì 31 gennaio 2024


Nelle sale italiane esce il film di Ginevra Elkann (che è anche coautrice sia del soggetto che della sceneggiatura) Te l’avevo detto. Il vero protagonista, però, è il clima impazzito e un’ondata anomala di caldo che, grazie a un colore giallo-arancio sempre molto sfocato, agisce come il motivo di fondo sul quale viene orchestrata tutta la rappresentazione delle vite dei protagonisti. Insomma, una sorta di sudario collettivo, un vero e proprio calvario in cui i liquidi corporei non sono quelli della pornografia esplicita ma delle ascelle! Un’impastatrice democratica, questa della calura, come la morte che non guarda in faccia nessuno, e agisce da mortaio per miscelare le situazioni più eterogenee. La cornice del non-racconto, se volete fortemente simbolico, racchiude nell’ordine le seguenti pietre di inciampo di noi umani sopravvissuti pro tempore al nostro lager virtuale. Valeria Bruni Tedeschi (Gianna), interpreta una donna ancora bella, di mezza età, che cerca nel sesso tardivo una qualche gioia di vivere. Danny Huston (l’italoamericano Padre Bill), è un prete che gestisce una comunità di recupero il quale, a sua volta, è un eroinomane aspirante suicida, perché la sua fede non basta a redimerlo. Greta Scacchi, è la sorella italoamericana “sana” e disperata di Bill, venuta a Roma per dare sepoltura alla loro madre americana.

Riccardo Scamarcio, ex marito di Alba Rohrwacher (Caterina), quest’ultima il personaggio più enigmatico del film, tossicodipendente, che ama la bottiglia quanto suo figlio e, perciò, interdetta dal giudice ad avvicinarsi a casa del suo ex. Valeria Golino (Pupa) ha l’anima e le sembianze di una rifattona pornostar decadente, che pensa solo a un suo fantasmatico riscatto, preparandosi tutto il tempo a esibirsi in un cabaret di terz’ordine. Lei è la bellissima che un tempo rubò il marito alla sua migliore amica Gianna, e da quest’ultima da allora mai perdonata. Marisa Borini, un’anziana, mite e deliziosa signora, confinata in poltrona davanti a una tivù perennemente accesa. Sofia Panizzi (Mila), badante dell’anziana, bulimica, senza un fidanzato, perché essendo figlia unica deve occuparsi nel tempo libero (che non ha) di una madre, Gianna, praticamente fuori di senno. Ora, voi capite, che definiti i ruoli non ci sarebbe null’altro da aggiungere tranne, ovviamente l’intreccio di relazioni, tutte sostanzialmente avvolte nella nebbia giallo-arancio di un caldo che fa sciogliere l’asfalto. Sono soprattutto Gianna, Caterina e il figlio piccolo che solcano come tanti aratri strade deserte di gente, rifugiatasi tutta all’ombra dei condizionatori delle proprie case: loro, i soli a portare in giro le loro vite ormai prive di senso.

Caterina, artista fallita, che sottrae con l’inganno il figlio alla custodia del padre (che però è capace di perdono e di consolazione nei confronti della sua sfortunata ex moglie, come pochi farebbero), portandolo in giro per quella Roma torrida senza un soldo in tasca, nemmeno per pagare il biglietto dell’autobus. A lei, in teoria, dovrebbe fare da tutor Padre Bill che la ospita in una comunità di recupero per tossicodipendenti da lui fondata, il quale invece è troppo occupato a litigare con la sorella per dare degna sepoltura alle ceneri della loro madre americana. Non c’è morale, non c’è un giudizio da dare. Le cose ci accadono, malgrado noi, come il caldo incontrollabile che, però, è il nostro prodotto di un consumismo e di una globalizzazione beceri che, tuttavia, non hanno nulla a che fare con i nostri protagonisti. Qui la vera merce è un’umanità in evidente stato di decomposizione. Ma, c’è da pensare che, volutamente, il film non intende esibire una colla per rimettere a posto i frammenti, né costruire un filo di sutura per ricucirne i margini, lasciando che il caldo fonda e faccia travasare gli umori acidi, impalpabili che ognuno di noi racchiude in fondo alla sua anima. Non è, quindi un racconto di speranza, ma uno spietato elenco di sofferenze materiali e morali.


di Maurizio Bonanni