lunedì 22 gennaio 2024
La recente iniziativa del ministro dei Beni culturali Gennaro Sangiuliano di apporre una targa in ricordo di Antonio Gramsci all’ingresso della clinica Quisisana ove questi morì, è stata vista come un oltraggio al monopolio della cultura che quel politico rappresentava.
La sterile e prevedibile polemica intorno al diritto a commemorare uno dei simboli più significativi del pensiero comunista italiano ha messo in secondo piano alcune riflessioni che probabilmente il ministro ha voluto invece generare.
La vicenda ha permesso di far conoscere che Gramsci, da sempre raccontato come perseguitato politico sottoposto a severe restrizioni dal regime fascista, è morto nella più costosa clinica privata romana ove era ricoverato da più di due anni per l’aggravarsi di patologie connesse ad una malattia infantile non ben curata nei primi anni di vita. Clinica in cui le misure di sorveglianza erano tali da consentire a Gramsci di ricevere in continuazione visite di amici e parenti, in particolare della sorella Teresina, attivista del Partito fascista e della cognata Tatiana Schucht.
Quella Tatiana che, a dire di Palmiro Togliatti, con rocambolesca azione la sera stessa della morte era riuscita a trafugare dalla cella i Quaderni del carcere, 2700 pagine manoscritte negli ultimi dieci anni di vita dell’autore che, suddivise per argomento, sarebbero andate a costituire 33 volumetti denominati, appunto, quaderni.
Nessuna cella quindi, bensì una lussuosa stanza della clinica Quisisana peraltro pagata dal Governo tramite la Banca Commerciale allora guidata da Raffaele Mattioli.
Gramsci, a seguito di istanza personale al Duce (lettera del 25 aprile 1935), era giunto nell’esclusiva struttura romana il 24 agosto 1935 da altra clinica privata di Formia, la Cusumano, ove gli era stata riservata una delle migliori camere con affaccio sul mare e dove il pensatore comunista trascorreva il suo tempo tra la scrittura dei noti quaderni, la lettura e lunghe passeggiate con i carabinieri addetti alla sua sorveglianza.
Vi era arrivato il 7 dicembre 1933 proveniente in stato di detenzione dal carcere di Turi, in provincia di Bari, e anche qui godeva di trattamento neppure paragonabile a quello riservato ad un detenuto in regime ordinario presso le attuali carceri italiane.
Per qualsiasi reclamo si rivolgeva direttamente a Benito Mussolini che prontamente esaudiva ogni sua necessità come si desume dal carteggio pubblicato su Lettere dal carcere, scritte non solo in carcere ma anche durante gli anni di degenza in clinica. La lunga lista dei libri che volle in carcere comprendeva titoli di Marx, Engels, Trostky, stranamente concessi ad un detenuto politico e non perché sfuggissero alla rigida censura, indulgente anche verso ciò che scriveva.
Stando alla descrizione che fa alla madre con lettera del 31 settembre 1931, disponeva di “una cella molto grande, forse più grande di ognuna delle stanze di casa” e soprattutto stava da solo, come da lui richiesto, per leggere e scrivere con la massima concentrazione.
Con lettera del 1° settembre del 1932 Gramsci arriva a lamentarsi “dell’eccessivo rumore notturno e del malcostume di sbattere fragorosamente le porte!”.
Le lagnanze venivano inoltrate da Mussolini al capo della Polizia con un’annotazione stringata: “Al Capo della Pubblica Sicurezza, riferire, M.” per poi procedere di conseguenza.
Non è chiaro perché Mussolini avesse così a cuore il trattamento di Gramsci ed è un argomento tabù mai approfondito negli anni. Vero è che Gramsci era in carcere a seguito di un arresto illegale per attentato alla sicurezza dello Stato e che da quel momento cominciò a formarsi una sorta di rete protettiva nei suoi confronti coordinata direttamente da Mussolini.
I pochi studiosi che si sono avventurati a capirne i motivi hanno supposto che il legame era nato nel periodo in cui Mussolini era direttore dell’Avanti! ed era stimato dal Gramsci giornalista per le sue aperture verso il Mezzogiorno. Entrambi interventisti agli esordi della Prima guerra mondiale, pare che Mussolini lo fosse diventato per emulazione del pensiero gramsciano sull’argomento. Inoltre la famiglia Gramsci annoverava più di un simpatizzante fascista, anche dopo l’arresto di Antonio. In particolare il fratello Mario, ufficiale di fanteria volontario in tre guerre, era divenuto segretario della sezione del Pnf di Varese e in seguito avrebbe aderito alla Repubblica di Salò.
In conclusione, qualsiasi siano state le ragioni della sollecitudine di Mussolini nei confronti del suo oppositore politico, l’iniziativa del ministro ha fatto comprendere come i Quaderni del carcere non siano stati scritti dallo Spielberg di Silvio Pellico. Ciò non toglie che siano una grande opera e sarebbe finalmente ora di rievocare Gramsci per il suo pensiero e non solo come martire perseguitato dal regime fascista.
di Ferdinando Fedi