L’avvenire della cultura antica

martedì 9 gennaio 2024


Contro questo rifacimento dell’uomo che viene sottoposto al laboratorio generico insieme alla natura; contro questa scienza che intacca l’essenza naturale cosmica, un antidoto decisivo resta l’umanesimo ossia l’uomo esistenziale, l’uomo estetico. Occorre fondare l’uomo sulle scienze e sulle tecniche come strumenti per l’uomo esistenziale estetico come finalità. Se perdiamo il rapporto tra i mezzi e fini, se non determiniamo che scienze e tecniche non sono beni finali piuttosto strumentali, utili ma per qualcos’altro, ossia la vita e la bellezza, siamo sperduti inespressivi, avalutativi. L’uomo si caratterizza in quanto è autocosciente, cosciente, valutativo, estetico, cognitivo, produttivo. Non deve perdere il criterio valutativo, estetico ed etico. Ripeto, l’uomo è colui che valuta quanto serve all’uomo, non all’efficienza degli strumenti. A meno che gli strumenti siano strumenti per l’uomo non fine dell’uomo. Considerare lo strumento il nostro scopo, fa diventare l’uomo strumento dello strumento, l’uomo non è più il soggetto finale, ossia arte e “vita” non sono gli scopi finali dell’uomo. Scopi finali diventano gli strumenti. Ma per quale fine? Oggi vi è una spropositata insorgenza di mezzi possentissimi, ma per quale uomo, che uomo vogliamo suscitare? La natura, alterata?

L’intelligenza riposta nelle macchine? Il lavoro sostituito? Ma se espropriamo l’uomo del lavoro, dell’intelligenza, della “natura”, che rimane dell’uomo? È una meta strabiliante che stiamo conquistando, la fine del “sudore della fronte”, la fine della condanna a lavorare per sopravvivere, ma se l’uomo si spossessa del lavoro, dell’intelligenza, della natura, torno a chiedere, che avverrà? Si diceva: finalmente avrà tempo per dedicarsi allo “spirito”. Errore diabolico. Non è minimamente certo che l’uomo si dedicherà all’arte, alla filosofia, per dire, se non lavora. Dobbiamo preparare l’uomo all’epoca del non lavoro, della fusione nucleare, dell’intelligenza artificiale, riumanizzandolo. Come? Ma con la cultura umanistica ossia la cultura che viene da noi, l’espressione, e gli interrogativi esistenziali, ed ovviamente relazioni umane estetico ludiche. E grandi imprese planetarie. Altrimenti l’uomo non saprà che fare e si accanirà contro l’uomo.

Un esempio storico, per capire. Gli antichi stabilirono la schiavitù anche per consentire a pochi uomini di non dedicarsi al lavoro manuale e pensare, dare arte. Ne venne la civiltà classica, spietata e somma. Nell’epoca moderna lo schiavo antico non esiste ma non esiste neanche o si è molto ridotto il nucleo aristocratico che si dedicava allo spirito, all’arte in modo eletto. Il consumatore moderno è la massa ed il prodotto in larga misura si adegua. Se riuscissimo a fare del robot intelligente, della fusione nucleare, della genetica il nostro schiavo potrebbe rigenerarsi un nucleo elettivo senza schiavi umani. Era il sogno convergente in senso opposto di Karl Marx e di Friedrich Nietzsche. Marx fu convinto e voleva convincere che l’automazione avrebbe liberato l’uomo dal lavoro manuale, avrebbe sorpassato la divisione del lavoro, manuale-intellettuale, consentendo a chiunque di superominizzarsi.

Nietzsche dopo un momento di fede ottimistica ebbe l’orrore, la visione di milioni e milioni di uomini che liberi dal lavoro potevano invadere l’arte e la cultura abbassandola al loro minimo grado, sicché inventò anche Lui il Superuomo ma contro lo “schiavo” liberato. Che avverrà con le nuove tecniche lo sappiamo, non sappiamo che fine avrà l’uomo. Per cautela, infittiamo la cultura classica, espressiva, interiorizzata, male non fa. Arte, filosofia, certo, scienza, tecnica, ma ricordando che l’uomo ha una interiorità espressiva esistenziale e che i mezzi senza fini valgono come usare un aereo per una passeggiata con il cane. Tutto fuori di noi! Grandi mezzi ma quali fini? Ormai, discorriamo di strumenti, chi li forgia al massimo potenziale. Per quale civiltà? Tanto per dire: è esistita la cultura classica. Tanto per dire.


di Antonio Saccà