Il centenario della morte di Giacomo Puccini

mercoledì 3 gennaio 2024


Vi sono artisti capaci di commuovere fino alle lacrime, la commozione è fondamentale nell’arte, è un aspetto peculiare in confronto alla scienza e alla conoscenza. L’arte ha di suo che mantiene, accumula, esprime la sensibilità, non si limita alla conoscenza. Ma in alcuni artisti la sensibilità ha un’ulteriore caratteristica, è commozione, una commozione che si spinge, come accennavo, a suscitare pianto, malinconia, tristezza, per l’abbandono, la separazione, la malattia. Non i grandi temi della vita come riflessione sulla stessa, ma il sentire, appunto, e l’amore ha una presenza assoluta. Tutto ciò non in forme maestose e tragiche, ma in qualche modo quotidiano, anche di gente non eccezionale; insomma la vita comune nei suoi aspetti dolenti. Vi è una differenza radicale dello spirito tragico dalla commozione sentimentale. La tragedia non suscita pianto, anzi stringe chi la vive, la sente, la vede in una morsa indurita che non si scioglie, la commozione sentimentale è tutt’altro, si scioglie nel pianto, fa circolare i sensi, li smuove.

Vi sono dei passaggi dall’una all’altra posizione, non sono così irrigidite, ma queste differenze esistono. Il musicista “commovente” nel senso detto, il quale obbliga per così dire al pianto, è di sicuro Giacomo Puccini, non Giuseppe Verdi, il quale, invece, ha più del tragico che del commovente, laddove Puccini ha più del commovente che del tragico quando pure la situazione è tragica. È grosso modo quel che accade in poesia. Giovanni Pascoli è commovente, Giacomo Leopardi è un lirico tragico. Giacomo Puccini apparteneva ad una famiglia di musicisti da generazioni, toscano di Lucca, iniziò lo studio della musica col padre. Morto precocemente il genitore, ebbe vari insegnamenti per conoscere la virtù di strumenti specifici, anche se infine decise la sua vocazione: diventare compositore, non esecutore. A Milano, dove si recò, ebbe come insegnante Amilcare Ponchielli, autore di un’opera di qualità, La Gioconda. Era un momento ferventissimo per il nostro Paese, viveva Giosuè Carducci, apparivano Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio, esisteva ancora Giuseppe Verdi, Arrigo Boito, Giovanni Verga, Luigi Pirandello, erano gli ultimi anni di Alessandro Manzoni, viveva Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo. Insomma, l’Italia conquistava nel campo della cultura eminenza, anche se altri Paesi come Francia e Germania furoreggiavano.

Ma intendiamoci, sono cenni, secondari, per dire che l’Europa manifestò una delle fasi più vertiginose della sua creatività. Non era dunque facile per un autore emergere in questo svolgimento tanto intrecciato e serpeggiante anche di mutamenti espressivi rispetto all’Ottocento. Puccini manifestò questa ambizione fin da giovane, non voleva replicare la magnifica tradizione lirica italiana, né quella del Settecento, né quella dell’Ottocento. Cominciò a modulare l’orchestrazione in forme meno rimbombanti, meno grandiose del passato, trovando nell’intimismo la sua identità. Non è opportuno né corretto semplificare, ma certamente Puccini scopre l’intimità, non l’epica, non la storia, non la mitologia, ma l’uomo del suo tempo e non eroismi, solennità corali, guerra, ma sentimenti, relazioni amorose, o perfino situazioni umoristiche, e tutto con una carezzevole melodiosità, dove gli strumenti a corda prevalgono sugli strumenti a fiato o a percussione. E inventa il mondo pucciniano. Che può anche dare l’idea di un impoverimento, rispetto ad un Verdi, un Gioachino Rossini, ma anche a Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini, però è un mondo.

Puccini ha creato il suo mondo, ha creato personaggi, in prevalenza femminili, donne che patiscono per amore, donne che ereditano il male del secolo, la tisi, donne abbandonate, e nel creare figure femminili pressoché raggiunge, un pressoché sostanziale, Giuseppe Verdi. Mimì è una figura sradicata piccolo borghese confrontata all’aristocratica “mantenuta” Violetta, e Rodolfo certamente è una variante di Alfredo, sempre a livello di sradicamento piccolo borghese. Puccini ebbe un periodo avverso, ma sostenuto dall’editore Ricordi si affermò precocemente anche in composizioni sinfoniche. Sarebbe interessantissimo, ma forse è stato fatto, uno studio sui nostri compositori di musica lirica quali compositori di musica sinfonica e da camera, scopriremmo ciò che è incredibile a dirsi: le più grandi composizioni dei nostri operisti hanno posto nella musica sinfonica, la Messa da Requiem e i Pezzi Sacri di Verdi superano addirittura le sue strepitose opere, e le composizioni strumentali di Rossini eguagliano le sue opere liriche, e Gaetano Donizetti ha composizioni puramente strumentali apprezzabili. Non scrivo di Cherubini o di compositori del Diciottesimo secolo, il discorso si amplierebbe all’eccesso. Accennavo, figure femminili. È commozione ovunque, è lo sgorgare dei sentimenti.

E, ripeto, l’intimità. Il finale di Suor Angelica commuoverebbe un serpente; l’aria “Vissi d’arte, vissi d’amore”, cantata da Tosca, in se stessa a considerare la disgraziatissima condizione che la porta ad uccidere chi la ricatta per liberare il suo amante, ecco un altro esempio di commozione; il canto della morente Mimì, che vuole restare nei suoi estremi momenti con Rodolfo: “Sono andati, fingevo di dormire, perché sola con te volea restare”. Ecco minimi esempi di commozione allo stato perlaceo, innanzitutto “un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo”, della abbandonata Butterfly che sogna il ritorno di Pinkerton. Ma sono, ribadisco, minimità e non va bene circoscrivere un autore alle singole arie. È tutta l’affluenza emozionale che scorre nell’opera con quella strumentazione morbida, discorsiva, narrativa, colloquiale, malinconica, apparentemente facile e priva di solennità che contraddistingue Puccini.

La vita di Puccini, dopo un breve periodo di difficoltà, fu trionfale. Divenne prestissimo un autore internazionale, la melodicità delle sue arie, il sentimentalismo non dolciastro, sentito, commovente in senso dignitoso, non lacrimoso, afferrava l’ascoltatore coinvolgendolo in quello che è lo scopo, o anche lo scopo dell’arte: fare sentire, percuotere e suscitare emozioni, certo, espressivamente, non emozione in quanto tale. Emozione per l’espressione, e questo Puccini lo otteneva in maniera personale, il mondo pucciniano, ed efficace. La vita in quanto tale poteva essere festosa, affermativa, orgogliosa, non fosse che come il contemporaneo Luigi Pirandello Puccini. Ebbe una consorte, Elvira, che dopo aver abbandonato il coniuge, un ricco mercante, per seguire Puccini, divenne di morbosissima gelosia persecutoria, addirittura accusando una domestica di avere relazioni con Giacomo Puccini, provocandone il suicidio.

Quando il processo accertò che la giovane era illibata, la consorte di Puccini fu condannata. Puccini soffrì moltissimo di questa persecuzione, non tanto per se stesso, ma proprio per la consorte, a scorgerla delirante. Per se stesso viveva gloria dopo gloria, in tutto il mondo. Era molto socievole, piuttosto scapigliato, amico degli amici, ma dentro il rovello esisteva. Fu amante delle automobili e acquirente di abitazioni. Stranissima questa circostanza, il successo mondiale era vulnerato dalla sofferenza privata, in tutto simile a Luigi Pirandello, il quale nei momenti di gloria mondiale pativa una doppia sofferenza atrocissima, la follia della consorte e l’abbandono di Marta Abba. Per curiosità abbiamo due testimonianze sulla figura fisica di Puccini, di Alma Mahler, la moglie di Gustav, che lo giudicava il più bell’uomo che avesse visto, e di Franz Kafka, che vedendolo restò colpito dal volto vitale, colmo di sentire, che esprimeva Puccini. Era un fumatore morboso. Morì precocemente di tumore alla gola. È con Giuseppe Verdi l’autore più cantato della lirica mondiale.

Quanto scritto evidenzia alcune considerazioni sociologiche. I compositori musicali, che oltretutto si ispiravano sovente alla letteratura, attestavano la condizione femminile rilevandone la fragilità, insomma erano a favore della donna già nell’Ottocento; la seconda considerazione riguarda invece l’incredibile assenza del melodramma nelle scuole. Difficile comprendere perché studiare e guardare e apprezzare e ammirare un pittore e non un musicista, dato che il musicista oltretutto di personaggi ne ha creati almeno quanto i pittori e gli scrittori. E valutando che non abbiamo una grande o vasta narrativa, con le dovute eccezioni, colmare la narrativa con le vicende operistiche sarebbe fondamentale.


di Antonio Saccà