venerdì 27 ottobre 2023
Premessa: chi scrive non ha mai ascoltato le canzoni di Vasco Rossi. O meglio, non ha mai avuto – e non ha – la raccolta musicale completa del Komandante. Certo, i successi storici li ha canticchiati. Vuoi per i passaggi radiofonici, vuoi perché ai falò estivi chi strimpellava la chitarra – perché ai falò c’è sempre qualcuno che strimpella la chitarra – immancabilmente, oltre a Lucio Battisti, proponeva Albachiara, Siamo solo noi oppure Vita spericolata. E proprio quella vita al massimo mi ha investito grazie alla serie tivù in onda dal 27 settembre su Netflix, Vasco Rossi: Il Supervissuto (scritta da Igor Artibani e Guglielmo Ariè, insieme a Pepsy Romanoff che è anche regista della docuserie), dove il cantante di Zocca, provocautore per eccellenza, si racconta a 360 gradi. Cinque episodi da non perdere, che ripercorrono le gesta di un artista mai banale, sempre al passo con i tempi e per certi versi fuori dal tempo, capace di dimostrare che era possibile, in Italia, fare rock.
Una full immersion pazzesca, intima, senza freni. Che consacra, semmai ce ne fosse stato bisogno, un pischello che ha superato i 70 anni ma che, ancora, riempie gli stadi con i suoi concerti. Alla faccia degli eccessi giovanili e di una critica, specialmente agli esordi, feroce. Vasco è sempre andato oltre, fregandosene beatamente e dissacrando i contestatori bigotti (“siamo solo noi, quelli che non hanno più rispetto per niente, neanche per la gente”). Una musica senza tempo, che coinvolge più generazioni. Perché è una musica senza filtri. Quindi diretta, per questo unica. E poi ci sono l’uomo, la famiglia, gli amici. Ma anche i primi amori, le esibizioni, la voglia di scappare e di ritornare. Le sue radici e le convinzioni: scrivere una canzone che deve essere sempre diversa da quella precedente. Raggiungendo vette che non sognava, ma che sono diventate realtà. Da vero Supervissuto. E non poteva essere altrimenti.
di Cla.Bel.