Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

giovedì 12 ottobre 2023


Una sera, mentre con Pier Paolo Pasolini stavamo a un ricevimento, il preside della Facoltà di Statistica, Vittorio Castellano, mise in dubbio la mitologia dei giovani da Terzo mondo che Pasolini condivideva con Elsa Morante. E Pasolini replicò in maniera dolceamara e netta: “Però, sono felici!”. Alberto Moravia non era d’accordo su questa presunta “felicità”, né con questa aspirazione a un “luogo” sociale incontaminato, un luogo di salvezza. Secondo Pasolini, l’Occidente moderno era corrotto, “sadico”. E lo rappresenterà proprio come tale. Pasolini tagliava fuori dalla sua analisi sociale la borghesia e il proletariato. Come se la memoria e la storia sociale fossero una sorta di malattia che bisognava respingere inoltrandosi nel “Paradiso” dei ragazzini, un uscir fuori dalla storia per entrare nel mito. Quando Pasolini diresse il film Uccellacci e uccellini, dove appaio anche io in un primo piano, scrivendo del film notai il percorso che Totò e Ninetto Davoli facevano nella pellicola e che non raggiungeva mai una meta, mentre la cornacchia con la voce di Francesco Leonetti li criticava continuamente incarnando una sorta di coscienza del proletariato e finendo ammazzata da Totò. Ecco, le classi sociali canoniche, proletariato, borghesia non entravano nel mondo di Pasolini, se mai il sottoproletariato, e i fanciullini del Terzo mondo.

Quando ero studente universitario a Firenze, conobbi Pasolini in un dibattito sul suo romanzo Una vita violenta, intervenendo dichiarai che Tommaso, il protagonista, non ha coscienza rivoluzionaria ma coscienza morale cristiana, di amore per chi soffre. Pasolini fu colpitissimo. Restava all’interno della morale cristiana e come intellettuale al di fuori nella maniera più assoluta da una prospettiva della società capitalistica verso la società socialista secondo le categorie marxiste. Personalmente, lo scrissi nel saggio su Nuovi Argomenti del 1963, consideravo queste posizioni illusionistiche: la società capitalista c’era, il consumismo c’era, il proletariato c’era, la borghesia c’era e non era con il sogno dei ragazzini e il ritorno all’ingenuità dei fanciullini che potevamo salvarci. Che il male fosse esclusivo della borghesia mi pareva una sproporzione. Pasolini evitava la storia, si volgeva al mito. Non che ripudiasse la modernità, ma la “salvezza” per lui stava tra i giovani premoderni. Il problema che mi interessava, allora ed oggi, è diverso: che fare tenendo conto che la borghesia aveva esaurito la sua missione di libertà e si incancreniva in tentativi di sfruttamento radicale, ad esempio nei confronti del Terzo mondo o protesa a ridurre l’uomo a una gallina di becchime, nei Paesi del Primo mondo? Che fare quando ormai eravamo certi, a meno di diventare dei terroristi, che il proletariato non sarebbe stata la classe sostitutiva della borghesia, non avrebbe promosso qualità, cultura, civiltà, non si sarebbe sottratto ai “consumi” come fine, non avrebbe tentato modelli economici alternativi?

Mi veniva da ciò l’impossibilità, l’improprietà di mantenere le categorie destra e sinistra, essendo in crisi sia la borghesia sia il proletariato, sorgeva il bisogno di scovare altre vie. Fu per questo che personalmente mi staccai dalla sinistra ma non ripudiandola, in quanto mantenni l’avversione per una borghesia che riduceva l’uomo a gallina che becca mangime, come dicevo, dall’altro, però, cercavo di ritrovare qualche valore che si era smarrito tra i ferri vecchi della sinistra, la patria, la tradizione della nostra civiltà, l’umanesimo, “valori” che la destra riusciva a tutelare, supponevo. Collaborai per anni alla rivista Il pensiero nazionale di Stanis Ruinas, che cercava proprio questo incontro e il superamento tra destra e sinistra visto che la sola destra si riduceva a valori economicistici e cosi la sinistra se si riduceva soltanto a un proletariato senza futuro egemonico etico-culturale. Bisognava superare la borghesia e il proletariato, cercare una combinazione nuova sia nel campo dell’economia, sia nel campo degli ideali. E questa combinazione la individuai nel restituire un primato all’etica della qualità. Aristocrazia dello spirito e della libertà.

Torno a Pasolini. Fu ucciso nel 1975, resiste nella memoria per cause tragiche, innanzitutto. Una morte come egli patì, solo, in luogo derelitto, in circostanze orrende, mentre scontava al di là d’ogni contrappasso l’omosessualità, ucciso, massacrato, quasi l’inferno si fosse aperto e chiuso su di lui. Fa epoca, una morte del genere, e sconvolge pensare a quei momenti in cui egli si trovò a lottare per non soccombere, a tu per tu con la morte, che aveva le sembianze di uno dei tanti ragazzi che raccoglieva di notte per rivivere il sogno degli adolescenti e della colpa, del sorriso e della punizione. Fino a pochi anni dalla scomparsa, era un uomo ancora giovanile, duro più che forte, asciutto. Indossava cappotti di pelle allacciati ai fianchi, giocava al calcio, e nel suo viso aveva tratti di maschiaccio: zigomi evidenziati, naso largo alle narici, capelli schiacciati su di una fronte ostinata, occhi di incerto calore, incassati sotto occhiali spessi, inespressivi, labbra estese e sottili serrate.

Di peculiare, la sua voce contrastante il suo aspetto: mite, ingentilita, esile, precisa. Aveva mani ampie, operose. Tutt’altro, al finire dell’esistenza. Quel giovanotto in forma, sportivo, si era estinto in se stesso: la bocca risucchiata, il volto sminuito e patito, e un che di esausto, sfinito, non so se per il lavoro che lo assillava, per sue vicende, per l’eclissi di civiltà che egli soffriva come una morte, di certo per questo insieme. Ben altro uomo da colui che frequentavo insieme ad Elsa De Giorgi a casa di Elsa o da Rosati, a Piazza del Popolo, a Roma, o che invitavo a tenere conferenze all’Università. Un giorno pubblicherò i testi, o che incontravo a casa sua, in via Eufrate, all’Eur, o che mi faceva partecipare a un suo film Uccellacci e uccellini, nel quale protagonista con Totò, dai grandissimi occhi marroni quasi ciechi, era Ninetto Davoli, sorridente, spigliato, nel quale Pasolini trovava l’incarnazione di un’adolescenza precosciente, naturale, al di qua della società moderna, il buon selvaggio del XX secolo. È il punto cruciale di Pasolini. Da considerare. Vale ancora oggi. Ne dirò.


di Antonio Saccà