Seminario di studi: “Archivi, politica, memoria connettiva”

lunedì 9 ottobre 2023


In un saggio del 1995 intitolato Mal d’archivio, Jacques Derrida anticipava i rischi delle “nuove tecnologie”, soprattutto di fronte all’uso delle stesse in una maniera compulsiva e “globalizzante”. “In ciò che permette e condiziona l’archiviazione, non troveremo mai niente altro che ciò che espone alla distruzione, e in verità minaccia di distruzione, introducendo a priori l’oblio e l’archiviolitica nel cuore del monumento. L’archivio lavora sempre e a priori contro se stesso”. A questo concetto di freudiana memoria si aggiunga pure il fatto che nell’epoca moderna dell’archiviazione digitale a mancare potrebbe essere proprio l’atto interpretativo – che solo l’essere umano è capace di compiere – in quanto è egli che vive, conosce e cataloga la propria storia attraverso un lungo processo di secolarizzazione. La quale difficilmente un’Intelligenza artificiale sarebbe in grado di compiere, aliena com’è da quella moltitudine di variabili (tratti psicologici e intuitivi) di cui solo l’essere umano è arbitro ed attore.

Aggiungeva Derrida nel suo saggio: “Archivio non sarà mai né la memoria né l’anamnesi nella loro esperienza spontanea, vivente e interiore. Al contrario: l’archivio ha luogo nel luogo di debolezza originaria e strutturale della suddetta memoria. Niente archivio senza un luogo di consegna, senza una tecnica di ripetizione e senza una certa esteriorità”. Pertanto, oggi è imperativo domandarsi quali siano i confini tra la memoria umana e la catalogazione digitale nel processo di archiviazione dei dati. E quali sono i limiti e gli effetti collaterali nella comunicazione e nella trasmissione della storia, confrontando il paziente lavoro umano con il sistema asettico e privo di emozioni di un’Intelligenza artificiale che sa conservare ma non interpretare.

Un altro importante quesito è come possiamo garantire il controllo e la trasparenza per proteggere la privacy dei dati e delle immagini nel mondo digitale. Questi sono solo alcuni dei temi che verranno affrontati in un entusiasmante seminario (con ingresso gratuito) dal titolo “Archivi, politica, memoria connettiva: la rigenerazione dell’immaginario”, in programma il 19 ottobre presso la sede dell’Aamod (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico) in via Ostiense 106 (Roma) a partire dalle ore 10. L’appuntamento coinvolgerà studiosi provenienti da diverse discipline e linguaggi. Esso rappresenterà soprattutto un’occasione per esplorare le sfide e le opportunità che l’archiviazione digitale presenta nella conservazione e nella trasmissione della memoria storica. La svolta tecnologica contemporanea che implica (e per certo versi impone) l’uso dell’archiviazione digitale solleva il problema dell’importanza del mantenimento, come valore di una società e cultura, di una “documentazione della memoria storica” capace di conservare i tratti tipici della “memoria umana”, là dove quest’ultima appare essere “una costante ridefinizione e riorganizzazione del passato, mentre quella digitale è un processo di conservazione senza interpretazione”.

L’archivio è, pertanto, uno strumento di esternalizzazione della memoria, che comunque conserva il carattere umano di apertura e sottopone i suoi documenti a una costante reinterpretazione e attualizzazione che aiuta a rimediare l’immaginazione, preservando il passato e insieme reinventandolo a ogni passo. Questo confronto vedrà protagonisti esperti del mondo universitario, scientifico e giornalistico, che si confronteranno sulle sfide della tecnologia moderna, sempre in continua evoluzione e cancellazione del passato. Tra i nomi presenti a seminario, si leggono quelli di: Onofrio Gigliotta (docente all’Università Federico II), Giovanni Michetti (docente alla Sapienza Università di Roma), Marcello Mustilli (avvocato), Teresa Numerico (docente all’Università Roma Tre), Federico Cabitza (docente all’Università MilanoBicocca), Nicola D’Angelo (magistrato), Fiona Macmillan (docente all’Università Roma Tre), Michele Mezza (giornalista e docente all’Università Federico II), Renato Parascandolo (giornalista).


di Gianluca Attanasio