“Lo Spleen di Parigi”: la forza evocativa di Baudelaire

mercoledì 4 ottobre 2023


Tradotti in italiano da Vivian Lamarque, i poemetti che compongono Lo Spleen di Parigi restituiscono al lettore tutta la forza evocativa, lirica, metaforica e al tempo stesso realistica della penna di Charles Baudelaire. Scritti tra il 1855 ed il 1864, i poemi in prosa molto hanno in comune con i temi trattati nella raccolta ben più nota e visionaria del “poeta maledetto” intitolata I fiori del male. Tuttavia, il lavoro di cui parliamo ha un valore sociale e storico particolare: esso, infatti, anticipa in maniera quasi profetica la trasformazione – e decadenza – della società contemporanea, impegnata a fare i conti con la frenesia dei suoi ritmi deliranti, con l’annichilimento dei valori tradizionali e la perdita di senso, ontologicamente inteso.

A incarnare questa figura privata della sua “identità” e svuotata ormai del privilegio di definirsi Artista è lo stesso narratore-protagonista: Baudelaire ricostruisce scenari di vita quotidiana dove egli appare un semplice riflesso dei propri ricordi. Il poeta percorre strade affollate da incontri imprevisti, da pentimenti, da eventi eccitanti o deludenti; spesso animato da una curiosità quasi fanciullesca. Tanti i momenti in cui Baudelaire si confronta con il tema della solitudine e della malinconia ancestrali, che lo scrittore traduce frammentariamente in visioni oniriche e drammaticamente poetiche, soprattutto quando la sua penna si sofferma sulla bellezza disarmante degli occhi dei bambini. E sulla condizione tragica di coloro i quali non hanno nulla in questa vita, acconto a quelli che hanno molto (forse, troppo) ma non lo sanno apprezzare.

Nel poema breve intitolato I folli, Baudelaire scrive: “Moltitudine, solitudine: termini equivalenti e convertibili per il poeta attivo e fecondo. Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa neppure restare solo in mezzo a una folla indaffarata. Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può essere, a suo piacere, se stesso e un altro. Come quelle anime erranti che cercano un corpo, egli sa entrare, quando vuole, in qualunque personaggio. Solo per lui tutto è vacante. E se certi luoghi sembrano essergli preclusi, è che ai suoi occhi non valgono la pena di essere visitati. Ciò che gli uomini chiamano amore è ben poca cosa, ben limitata e ben debole, paragonata a questa ineffabile orgia, a questa santa prostituzione dell’anima che si dà tutta intera, poesia e carità, all’imprevisto che si mostra, all’ignoto che passa”.

Facile è stato – e continua oggi a esserlo – accostare la poetica di Baudelaire con alcuni scritti esistenzialisti: il rapporto ragione-anima incarnato negli scenari dipinti dallo scrittore francese va infatti oltre la dimensione puramente “esistenziale”. Baudelaire scriveva già nei Fiori del male: “In questo libro atroce, ho messo tutto il mio pensiero, tutto il mio cuore, tutta la mia religione (travestita), tutto il mio odio”.

Certo, si può avere la sensazione che lo scrittore faccia precedere il “cuore” alla ragione anche nel suo Lo spleen di Parigi. In verità, Baudelaire non intende che il poeta abbia dato forma di versi a un pensiero astratto e sistematico, in cui, fra loro concettualmente collegate, si dettagliano una filosofia della natura e della storia; né tanto meno un’etica o una metafisica. Precursore sì – per certi aspetti – dell’Esistenzialismo, Baudelaire era tuttavia ben convinto che tali filosofie (metafisiche) non avessero niente a che vedere con la condizione umana, con l’esistenza reale del singolo, con le provocazioni alle quali la ragione è ogni istante sottoposta. Ma proprio il suo non voler tacere o mascherare le contraddizioni dell’esperienza, la rinuncia alle consolazioni del sentimento, il disprezzo per ogni patetismo fine a se stesso, sono gli aspetti che definiscono ciò che designiamo con il termine pensiero; che altro non è che lucidità e consapevolezza del reale.

In questo senso, si definisce anche il rapporto con il Romanticismo, nei confronti del quale, proprio per la sua modernità unanimemente riconosciuta e sottolineata, Baudelaire rappresenta uno degli esiti più alti: “Chi dice Romanticismo dice arte moderna, cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito, espressa con tutti i mezzi delle arti. Ne segue che, tra il Romanticismo e le opere dei suoi principali settatori, c’è contraddizione evidente”. (Salon, Baudelaire, 1846).

(*) Lo spleen di Parigi di Charles Baudelaire, Edizioni SE, Collana Assonanze. Traduzione a cura di Vivian Lamarque, 120 pagine, 18 euro


di Gianluca Attanasio