Visioni. “Paradise”, un buon thriller distopico sul “tempo rubato”

venerdì 28 luglio 2023


Uno scenario apocalittico. È il futuro che racconta Paradise, un buon thriller di fantascienza distopica diretto dal regista tedesco Boris Kunz, visibile da ieri su Netflix. Una metafora di un’umanità asservita al culto dell’eterna giovinezza, che non ascolta i moniti della propria coscienza e, pur di raggiungere l’agognato obiettivo, è disposta a mistificare, a rubare, a uccidere. In Germania, opera Max (un appassionato Kostja Ullmann), un trentottenne “procacciatore del tempo” che lavora alle dipendenze della Aeon, un’azienda che acquista, letteralmente, “anni di vita” a suon di migliaia di euro. I destinatari delle offerte sono, naturalmente, i disperati che non hanno scelta: rifugiati che vivono ai margini della società. I poveri vendono il loro tempo ai ricchi.

Alla guida di Aeon figura Sophie Theissen (una mefistofelica Iris Berben), una scienziata 72enne che ha ideato un trapianto rivoluzionario: attraverso un intervento chirurgico è possibile trasferire gli anni di vita da una persona all’altra, che da vecchia tornerà giovane grazie alla “donazione” e al Dna compatibile. La donatrice, però, invecchierà perdendo gli anni che ha ceduto. Intanto, un gruppo terroristico denominato Adam, compie attentati contro tutti i beneficiari della nuova giovinezza. Dal canto suo, Max riceve attestati di stima e riconoscimenti per la sua dedizione al lavoro. Ma un fatto inaspettato sconvolge la sua vita e quella della bella moglie trentenne Elena (un’eterea Marlene Tanczik), che lavora come medico all’ospedale. La donna dovrà “cedere” 38 anni del suo tempo perché si ritrova improvvisamente debitrice “immediata” della banca, a causa dell’incendio del proprio appartamento. Dopo la cessione forzata apparirà come la vecchia sposa (una magnetica Corinna Kirchhoff) del giovane Max e cercherà, a tutti i costi, di riacquistare la propria età.

Paradise ricorda, in parte, In Time, il film diretto da Andrew Niccol, nel 2011. Ma lo sguardo inquietante sul tempo è anche alla base di un’altra messa in scena tedesca: l’ipnotica serie tivù Dark (2017-2020), ancora una produzione targata Netflix, creata da Baran bo Odar e Jantje Friese. Con Paradise, Boris Kunz riesce ad attirare, sin da subito, l’attenzione dello spettatore. La riflessione iniziale è terribile. Chi non è in grado di pagare è costretto a cedere il tempo contro la propria volontà. Il cineasta pone numerosi problemi etici di stretta attualità: legati al furto del tempo, a una giustizia che appare assolutamente iniqua, allo sfruttamento dei migranti e alla catastrofe ecologica. E, seppure la psicologia dei personaggi risulti pervasa dall’inevitabile ambiguità morale, la seconda parte di Paradise si trasforma in un film d’azione che poco aggiunge alle premesse interessanti orchestrate dal regista, anche autore della sceneggiatura. In ogni caso, nonostante alcune imperfezioni nella fase di scrittura, il tentativo si rivela, lodevole.


di Andrea Di Falco