martedì 25 luglio 2023
Ottant’anni non sono poi così tanti, in fondo. Questa la prima riflessione che viene in mente, pensando che oggi, 25 luglio, sono appunto 80 anni esatti dalla prima caduta del fascismo, in seguito alla votazione del Gran Consiglio, la notte tra sabato 24 e domenica 25 luglio 1943. E non sono così tanti, diremmo, pensando al cambiamento non di società, economia, tecnologia, informazione, costumi italiani (che, specie negli ultimi 30 anni, è stato in realtà enorme, quasi vertiginoso); ma del vivere civile, del rapporto tra cittadino medio e politica, che è stato, in realtà, di gran lunga minore.
Come, anzi, molto più di allora, in Italia continuano a regnare opportunismo, trasformismo, “camaleontismo” politico, facilità a farsi sedurre dall’ “uomo forte” di turno: salvo, poi, tradirlo – come al tempo delle Signorie – alla prima occasione più conveniente, saltando sul carro dei nuovi vincitori.
“Un dittatore cui disobbedire”, sintetizzava acutamente, anni fa, l’ideale politico degli italiani un osservatore come Indro Montanelli, aggiungendoci l’eterna miopia civile dell’italiano medio, l’incapacità di guardare – come già rilevato, secoli prima, da Francesco Guicciardini nei suoi Ricordi politici e civili – al di là del proprio “particulare”.
Il voto del Gran Consiglio del 25 luglio: un regime senz’altro dittatoriale (anche se non paragonabile ai mostruosi totalitarismi genocidari del Novecento, rossi e neri) che, in definitiva implodeva, o meglio, si afflosciava su se stesso come un soufflé riuscito male. Vittima, da un lato, non dell’antifascismo o dei bombardamenti alleati (che pure ebbero la loro parte, nell’esasperare la rabbia della gente sia contro gli Alleati che contro il regime che aveva voluto la guerra) ma della disastrosa conduzione del conflitto; dall’altro, dell’incredibile intreccio di congiure, manovre meschine, doppi e tripli giochi che agì dietro le quinte degli attori ufficiali.
Nella vasta pubblicistica sul 24-25 luglio 1943 dei decenni scorsi (saggi, libri di memorie, opere di narrativa), due saggi, in particolare, spiccano più degli altri. Il primo è quello, del 1963, del giornalista, già partigiano, Gianfranco Bianchi, 25 luglio: crollo di un regime (Mursia, 1963): per la prima volta ipotizzava, tra i retroscena del voto del Gran Consiglio, la presenza anche di un consistente interesse tedesco a una deposizione di Benito Mussolini, che avrebbe dato alla Germania – come poi in effetti avvenuto – un ottimo pretesto per invadere l’Italia e assumerne direttamente il controllo (Roberto Farinacci, “il più fascista”, era in stretto contatto con l’Ambasciata tedesca, che non mancava d’informare sui contrasti e le manovre di potere in corso tra i vari gerarchi).
Poi, Colpo di Stato. 25 luglio ’43: il ribaltone del fascismo (Rizzoli, 1996), dell’altro giornalista e storico, specializzato sugli anni della Seconda guerra mondiale, Silvio Bertoldi: una ricostruzione minuziosa, quasi minuto per minuto, di spostamenti e scelte di tutti i protagonisti del “Ribaltone” del fascismo. Mentre recentemente (2018) in 25 Luglio 1943 (Bari, Laterza), Emilio Gentile, docente emerito della “Sapienza” di Roma, tra i maggiori studiosi del Ventennio, ha cercato anche di scandagliare l’animo di Mussolini, per cercar di capire che cosa, soprattutto, lo spinse a mettere ai voti, come primo documento, quell’Ordine del giorno presentato da Dino Grandi (a lui già noto, in realtà) che, a una lettura anche superficiale, faceva immediatamente capire la sua intenzione di girar nettamente pagina, chiedendo come prima cosa, col pretesto di tornare a una legalità costituzionale “filosabauda”, proprio la sostituzione di Mussolini alla guida del Governo.
Non conosciamo ancora in pieno, poi, tutti i contorti intrecci di potere – politico-militari, ma anche economici, ed esoterico-finanziari (massonico, specialmente, ma non solo) – che prepararono e accompagnarono gli avvenimenti del “25 luglio e dintorni”, continuando poi ad agire anche ben oltre. Sino alle drammatiche, vergognose vicende dell’8 settembre, alla fuga dei reali da Roma, a Cefalonia e a gli altri tragici teatri della prevedibile vendetta nazista.
Vicende solo in parte riscattate dai primi episodi di resistenza armata popolare all’invasione tedesca: come a Roma subito dopo l’8 settembre e a Napoli, con le “Quattro giornate” della fine del mese. Retroscena, dicevamo, cui, per esempio, fa riferimento anche Romano Mussolini (all‘epoca adolescente) nel suo libro di memorie del 2004 Il Duce, mio padre (Milano, Rizzoli).
Mentre, a proposito della fuga dei reali da Roma a Pescara l’8 settembre, è difficile credere. Si chiede il giurista, docente della “Sapienza”, e già funzionario della Camera, Mario Pacelli, sul periodico online Moondo-Siamo ciò che sappiamo, che “fu solo per caso, per fortuna, per disorganizzazione delle forze armate tedesche, che il convoglio non fu bloccato dai tedeschi, benché ripetutamente fermato a cinque posti di blocco e anche sorvolato a bassa quota da aerei tedeschi nelle vicinanze di Arsoli”. Per la prima volta nel 1964 s’interrogò su tutto questo un autore come Ruggero Zangrandi, nel libro 1943: l’8 settembre, che suscitò molte polemiche e valse al suo autore una condanna.
Come si vede, il campo resta ancora in gran parte da dissodare, da parte di storici preparati e non prevenuti in alcun senso. Una verità, se non definitiva, ma abbastanza esauriente su tutte queste vicende, potrà raggiungersi solo quando saranno finalmente consultabili, senza riserve, tutti i documenti sul 25 luglio e l’8 settembre – in parte ancor oggi secretati – presenti negli archivi inglesi, statunitensi ed anche, per quel che ne è rimasto, tedeschi.
di Fabrizio Federici