La questione intellettuale: Moravia e Pasolini

lunedì 17 luglio 2023


Durante la presentazione del libro Ho vissuto la vita, Ho vissuto la morte (Armando Editore), dopo che Nica Ferri Moramarco, con brevità essenziale, e il giovane spigliato presentatore Fabio Dentamaro, hanno immesso nell’evento Giuseppe Sanzotta, finito il suo intervento analitico del libro, che narra dei miei incontri con personaggi degli anni Sessanta-Settanta, propone a se stesso e a me una domanda da considerare. Siamo in Puglia, Casamassima, ospiti della Fondazione Sante Montanaro attivata con dignità culturale da Pasquale e Nica Moramarco. Come mai la ricorrenza di Pier Paolo Pasolini ha interventi branchiali e ramificati, e quando invece si nomina Alberto Moravia, il discorso finisce dopo qualche minimo intervento? Eppure, aggiungeva Sanzotta, durante la vita Moravia fu più celebrato di Pasolini. È una domanda opportuna, anzi necessaria, chiarirla farà comprendere il momento che attraversiamo. Alberto Moravia fu scrittore concettuale e intellettuale. Concettuale significa che non si accontenta di narrare vicende: cerca anche di determinare una concezione sulla e verso la realtà.

L’indifferenza, l’attenzione, la noia, per riferirmi a titolazioni di suoi romanzi, costituiscono astrazioni concettuali, la narrazione non è soltanto un episodio dell’esistenza, un accadimento specifico, ma una visione della realtà. Che rapporto esiste tra noi e la realtà? Moravia ne era preso. In che rapporti stiamo con il mondo esterno? Siamo indifferenti, ci annoiamo, non abbiamo o abbiamo attenzione, la realtà è una presenza inspiegabile, assurda? Moravia fu il solo intellettuale in senso proprio che conobbi. Non si immedesimava nella realtà come se fosse ovvio vivere e sentire eventi circoscritti. Tutt’altro. Il rapporto tra realtà esterna e ripercussione interna fu in Moravia problematico. Questo significa essere “intellettuali”, distanziarsi dal mondo esterno e cercare una via di contatto. Per Moravia la sessualità e l’arte furono il modo con i quali il soggetto riesce a stabilire un ancoraggio con l’oggettività del reale. Sempre in forme problematiche.

Pasolini di queste temperie fu immune. Le borgate, il Terzo mondo, l’omologazione, la critica al consumismo, i ragazzini “felici” gli bastavano. Era nella realtà sensorialmente, vivere costituiva una situazione normale, spontanea, come fanno quasi tutti. Sicché giustamente il difficile “intellettuale” Moravia non è compreso, Pasolini che ha gli interrogativi correnti (consumismo, omologazione, illusionismo terzomondista) viene considerato. Bene così. Rispetta la divergenza concettuale. Della resa estetica non è l’occasione per dirne. Esiste un Pasolini distruttivo, morte, ferocia, degradazione, che andrebbe vagliato. Ne scrivo nel libro. Al dunque, per gli artisti “concettuali” un periodo scontroso. Varrà la necessità di precisare che significa “intellettuale”, niente da identificare con attività mentale. Intellettuale in senso critico vale a significare non immedesimazione spontanea con la realtà corrente, anzi: vale a dire porre in dubbio se vi è relazione tra il sentire e la realtà, la terribile evenienza che la realtà sia estranea, inspiegabile, non merita risonanza in noi. Non già perché non la sentiamo. Moravia era emotivissimo, ma perché non ci rassegniamo al sentire, e cerchiamo il sentire appropriato, se esiste, quella che viene definita “autenticità”. E si può restare senza “autenticità”. Rifiutando il sentire. Questione essenziale. Non è roba da mercato.


di Antonio Saccà