Le “gambe forti” di Fabrizio Gifuni

lunedì 10 luglio 2023


Fabrizio Gifuni è ormai diventato l’attore-feticcio di Marco Bellocchio. È stato interprete di Fai bei sogni (2015) e Rapito (2023). Lo scorso anno ha dato il volto ad Aldo Moro, nel capolavoro bellocchiano, Esterno notte. Grazie alla sua interpretazione mimetica e misurata ha vinto il David di Donatello e il Nastro d’argento come miglior attore protagonista. Eppure, la sua è stata una corsa lunga un trentennio. Per la quale ci sono voluti “fiato, gambe buone e nervi saldi”. È così che Gifuni, a Trieste per ricevere il Premio interprete del presente al Teatro Miela, nell’ambito dello ShorTS-International Film Festival, descrive il suo viaggio all’interno del mondo del cinema e del teatro. Un’esperienza che non è soltanto la sua ma è quella di tutti coloro che si cimentano con il cinema. Infatti, nel descrivere i premi che ha vinto, li definisce “il riconoscimento di un percorso più da maratoneti che da centometristi, iniziato 30 anni fa in quella fortunata classe dell’Accademia Silvio d’Amico, che ho condiviso con Luigi Lo Cascio, Pierfrancesco Favino, Alessio Boni e tanti attori e attrici straordinari”. Esistenze e professionalità parallele: con loro, oltre alla Meglio gioventù, di Marco Tullio Giordana, Gifuni ha condiviso tanti set e interpretato molti personaggi. È il caso di Moro – i cui panni ha già vestito in Romanzo di una strage, ancora di Giordana e che impersonerà nello spettacolo Il vostro irridente silenzio, in autunno in vari teatri italiani – ma è anche il caso di Pier Paolo Pasolini, che riporterà in teatro con Il male dei Ricci. Senza dimenticare Franco Basaglia, che Gifuni ha impersonato in C’era una volta la città dei matti di Marco Turco, ambientato a Trieste.

“Il film raccontava una pagina importantissima della storia di questa città e di questo territorio, di cui bisognerebbe parlare molto di più in un momento, in cui c’è una pericolosissima risacca rispetto a tutto quel racconto”, fa notare l’attore. Non a caso, “cinema e teatro hanno un compito importante che è anche quello di ricordarci pagine della nostra storia e riaccendere la memoria in un Paese che fa molta difficoltà a ricordare”. Con un limite, però: “Teatro e cinema non possono sostituire i luoghi dove andrebbe studiata la storia, ma possono svolgere un ruolo molto importante per accendere una curiosità, un’emozione, un corto circuito emotivo, soprattutto nelle nuove generazioni che li porta ad approfondire pagine di storia che magari a scuola non avrebbero mai toccato”.

Giufini analizza lo stato di salute del cinema italiano: “Dal punto di vista creativo – sottolinea – come nuovi registi, sceneggiatori e interpreti, nuove realtà produttive, è in uno stato di salute molto buono. Ci sono altri problemi, come la trasformazione della fruizione del cinema, che ha toccato la distribuzione nelle sale, come i film vengono visti dai nostri figli. Problemi a cui bisogna dare risposte”, e per queste, occorre trovare un bel po’ di “fantasia”. Infine, per il suggerimento da dare ai giovani interpreti, si torna alla metafora atletica: “Avere gambe forti, caviglie ben allenate, fiato nei polmoni, perché è una marcia lunga”.


di Eugenio De Bartolis