I convegni palermitani su Nietzsche

martedì 4 luglio 2023


Da una scissione del Sindacato nazionale degli scrittori nacque il Sindacato libero scrittori italiani: era il 1970. Il termine “libero” è determinante, ritenendo il precedente sindacato non libero e servente del Partito comunista. Il nuovo sindacato era mosso fondamentalmente da cattolici, liberali, socialisti, laici senza determinazione politica, tradizionalisti non cattolici. Un sindacato libero, soprattutto dal comunismo. Era un altro “impegno”? Pierfranco Bruni nella narrazione che introduce ragioni e personaggi della vicenda reputa che, per non essere impegnati unilateralmente (comunismo), nacque il Sindacato libero. Feci parte di questo sindacato, senza minima presenza istituzionale, nei convegni, nelle discussioni, nelle amicizie, nella determinazione a tutelare l’arte e la cultura dalle varie degradazioni: l’ideologismo, vale chi ha le mie idee; il mercato, vale ciò che è venduto; la reclamizzazione, vale ciò che rumoreggia nei mezzi di comunicazione di massa. Le tre bestie trionfanti che degenerano, ieri e oggi, l’arte e la cultura. Un mio intervento, riportato nel testo, di molti, molti anni fa, lo afferma, e lo riaffermo adesso più che mai. Tommaso Romano, che oltre a scrivere opera come editore, stampa il testo dalle edizioni Thule. Sono le persone, i personaggi ad apparirmi. Innanzi a tutti, Francesco Grisi. Quantunque accomunato ad Antonio Barolini nella scissione, Grisi aveva una mobilità estroversa, una effusività sociale insostabile. Una persona che voleva rendersi personaggio anche nell’abito. Piuttosto alto, chiaro di capelli e di sguardo, amico di tutti, sostenuto, custodito da gentildonne della buona società, cattolico assoluto, amante del dialogo anche con opinioni difformi, è a Grisi che si deve il sindacato. Bene, rammentarlo, lo merita. Quando si ammalò, riusciva a organizzare incontri con una vitalità che poi scontava in giorni di solitudine reclusa e stanca. Si confinò a Todi, lo chiamai, la sua voce si spegneva esausta dopo qualche parola, e il saluto volle che fosse un addio.

Di persone e ricordi ne rappresenterei interminabilmente, il testo offre anche immagini. Moltissimi scomparsi. Ricordarli è ricordare noi stessi. Non solo come persone amiche, pure come individui che hanno permesso al nostro Paese di uscire da una tenaglia che serrava l’arte e la cultura, quasi appartenessero esclusivamente alla sinistra. Anche io per anni ebbi questa deformazione reputando il proletariato suscitatore di civiltà. Non fu e non è così. E non sarà. Pertanto la sinistra non ha da proporre che l’irregolarità sessuale, l’accoglienza babilonica, qualche estasi leggera, ma l’alternativa sociale di una “classe” innovativa l’ha smemorata. Non ha futuro. Ma quale altra cultura ha futuro? Tommaso Romano, insieme ad Alfredo Fallica, organizzò per diversi anni convegni di livello riguardanti Friedrich Nietzsche. In un testo che memorizza Fallica, Romano ne scrive. Racconta convegni di assoluto prestigio. Tra i partecipanti occorre menzionare: Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Eugenio Scalfari, Claudio Magris, Roberto Galasso, Sossio Giametta, Renzo De Felice, Hans-Georg Gadamer, Henri Lefebvre, Karl Popper. Il testo di Romano percorre i venticinque anni di convegni, 1976-2001, Edizione Thule, e contiene note su Fallica, testi di Fallica. Era un appassionato, sentiva Nietzsche, ne avvertiva la sollevazione contro tutto quello che accadeva e accade, la democrazia ridotta a mercato per “venire incontro” alla massa, la democrazia come discesa per ottenere il consenso o per vendere al maggior numero, l’inconsistente alternativa del proletariato alla borghesia e però la borghesia ridotta al primato dell’economico al quale sacrifica persino arte e cultura. Si stabilisce un vincolo terrificante: il prodotto peggiore prevale perché idoneo al maggior numero. Una sinergia apocalittica. Intendiamoci, Nietzsche ha degli aspetti tremendi: le caste, il dominio al di sopra del male del superuomo. Non sono rimedi dolcificanti. Ho partecipato a quasi tutti i convegni, Fallica era onnivedente, premuroso, partecipe. Per quanto mi riguarda, su Nietzsche ho scritto, citato nel libro, la più analitica biografia: Ho ucciso Dio. Nietzsche (1985). Nietzsche sarebbe il rimedio alla decadenza delle aristocrazie estetiche vitalistiche? Ne abbiamo discusso tanto. E Fallica ha contribuito, come animatore e come saggista. Al dunque, opere entrambe che pongono il quesito decisivo: non possiamo, non dobbiamo, non dovremmo contribuire allo scadimento estetico-culturale. La qualità è esistita, esiste, deve persistere. La società se non si muta in civiltà, resta aggregazione animalesca, quasi.     

Alfredo Fallica ed i convegni a Palermo su Nietzsche 1976-2001 di Tommaso Romano, Edizioni Thule 2022, 100 pagine, 15 euro


di Antonio Saccà