martedì 20 giugno 2023
Roma sempre più “arte dal vivo”. Il Teatro Argentina ritrova la sua stagione d’oro al termine del recente commissariamento, passaggio obbligato per la sua riconversione in fondazione, miscelando con sapienza le diverse forme artistiche, tra cui la danza e la riduzione teatrale di noti testi letterari, all’interno di un mosaico performativo di grande interesse. Ne è testimonianza l’evento dello scorso 16 giugno relativo alla presentazione della prossima stagione 2023-24, che ha avuto per madrina di pietre e archi un gioiello di architettura tornato a nuova vita (come lo sarà in meno di due anni il Teatro Valle), come quello spaziale del cortile interno di Via del Sudario 44. Ovvero, del suo contenitore: il Palazzetto del Burcardo, edificio tardo-gotico che dal 1932 ospita la Biblioteca e Museo Teatrale omonimo, e che prende il nome dal vescovo alsaziano e cerimoniere pontificio che fece inglobare nella stessa costruzione la Torre Argentina. Tra gli intervenuti, l’assessore alla cultura di Roma nella Giunta Capitolina, Miguel Gotor (di cui, tra l’altro, L’Opinione ha pubblicato nel giugno del 2008 sia la recensione del suo magistrale libro sul sequestro di Aldo Moro, Lettere dalla prigionia, sia un’intervista che prende spunto dai retroscena di quella tragica vicenda), ha accennato alle precedenti difficoltà amministrativo-gestionali nel passaggio del Teatro nazionale di Roma da associazione all’odierna fondazione, di cui è attesa la nomina del Consiglio d’amministrazione e l’emissione del bando per la posizione di direttore generale.
Gotor ha dato particolare risalto all’iniziativa di cercare nel teatro una conciliazione tra dimensione istituzionale e un’altra legata alla sperimentazione, all’autopromozione e all’auto organizzazione. Fare bene significa, a suo avviso, connettere i mondi che in queste caratteristiche si riconoscono, un po’ come accadde all’epoca dei poeti laureati che cercavano una loro dimensione inedita e originale all’interno di cantine e di luoghi che si sottraevano all’attenzione del grande pubblico, ma che oggi non possono sfuggire a chi fa politica culturale. La prima scommessa della nuova fondazione è di tenere assieme, armonizzandone le iniziative (si spera anche su basi tematiche, per esempio specializzando in futuro il Teatro Valle, in base ai percorsi teatrali che fanno riferimento ai grandi autori storici italiani), i quattro gioielli che costituiscono il patrimonio del Teatro di Roma, ovvero l’Argentina; l’India; il Torlonia e il Valle. Per quest’ultimo, collocato nel cuore di Roma alle spalle di Sant’Ivo alla Sapienza del Borromini, Gotor ha ribadito che i lavori sono già iniziati e si spera tra 18 mesi di restituirlo alla città. Un riferimento particolare è stato dedicato alla messa a sistema con gli spazi teatrali storici urbani dei teatri di cintura, che costellano i quartieri periferici di Roma, in base alla filosofia pienamente condivisibile per cui a una città così cambiata in profondità occorre far seguire un cambiamento di categorie, riallineando da verticale a orizzontale il rapporto centro-periferia. A tal fine è stata varata una politica di tariffazione agevolata e rinnovata la convenzione con Zètema raccogliendone le proposte relative, anche grazie al finanziamento dei bandi per i quali sono stati stanziati di 500mila euro per teatri che non superano i cento posti. Si è teso ad assecondare in tutti i modi l’interazione tra gestori e associazioni che costituiscono in sé l’anima dei piccoli teatri, ai fini del loro ammodernamento.
È intervenuto per l’occasione il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, che ha accennato all’esigenza di costituire una filiera istituzionale compatta a sostegno della fondazione, che passa anche per la rigenerazione del teatro. La missione specifica è di mettere in scena sia la sperimentazione che la formazione di un cartellone che ribadisca la grande tradizione drammaturgica italiana. L’innovazione passa soprattutto per la nuova interdisciplinarietà, in cui confluiscono nello spazio teatrale culture come archeologia, arte e uso del teatro come linguaggio universale. In questa ottica, il Teatro India si presenta come profondamente ridefinito e rigenerato nella sua missione sperimentale. In Parlamento sono stati aperti i lavori per riformare il Fus (Fondo unico per lo spettacolo), e il Governo ha intenzione di estendere il Tax credit al teatro oltre che al cinema. In generale, serve un dialogo ancora più forte con la città, perché in fondo il teatro funziona come specchio anche rispetto alle performance delle istituzioni.
In merito alla programmazione dell’Argentina, si segnalano in particolare: L’interpretazione dei sogni, di Stefano Massini, liberamente tratto da Sigmund Freud; L’albergo dei poveri di Massimo Popolizio, tratto dall’opera di Maksim Gor’kij, per la riduzione teatrale di Emanuele Trevi; Ciarlatani di Pablo Remón, con Silvio Orlando. Spazio anche ai classici, con: Così è se vi pare di Luigi Pirandello, con Eros Pagni e la regia di Luca De Fusco; L’arte della commedia di Eduardo De Filippo, per la regia di Fausto Russo Alesi; Diari d’amore (un dittico composto da due atti unici, Dialogo e Fragola e panna) di Natalia Ginzburg, per la regia di Nanni Moretti; Dall’opera teatrale di Carlo Goldoni sono tratti La Locandiera, con Sonia Bergamasco e la regia di Antonio Latella, e Un curioso accidente per l’interpretazione e la regia di Gabriele Lavia. Infine, si segnala al Teatro India, dall’8 al 30 maggio, il Progetto Eugenio Barba e i 60 anni dell’Odin Teatret. Resta, tuttavia, da capire se vi sia o meno, nel prossimo futuro, la messa a punto di un metodo meritocratico, relativamente alla costruzione dei percorsi “virtuosi” (una sorta di ascensore sociale dell’arte dal vivo) che tengano conto in particolare del giudizio della critica, per la promozione down-top di spettacoli messi in scena nei circuiti minori, ritenuti meritevoli di essere rappresentati in spazi teatrali maggiori, come l’Argentina e il Valle, nel caso di Roma.
di Maurizio Bonanni