La metafisica del ping-pong

lunedì 12 giugno 2023


Il mio rapporto con il tennistavolo comincia e finisce intorno ai dieci anni d’età, quando frequentavo l’oratorio. Per questo mi ha incuriosito il titolo del libro di Guido Mina di Sospiro, La metafisica del ping-pong, già nella sua prima edizione.

Oggi esce la nuova, “riveduta e scorretta” per i tipi di Ultra di Lit Edizioni, Roma, in una traduzione ad opera dello stesso Autore. Credendo nelle Vie Marziali e nell’Arte delle Armi, nutro ancora dopo tanti anni un sussiegoso disprezzo per ciò che comunemente viene chiamato “sport”, in quanto a me Pierre de Coubertin si erge ancora fieramente antipatico – vi lascio immaginare dove, nella mia anatomia – in tutta la sua statura, ma una delle cose più belle e accattivanti del libro di Mina di Sospiro è proprio il fatto di avermi fatto scoprire quanti “punti” avessimo in comune, io con la mia passione per la Scrima e per lo Iaijutsu con il suo “ping-pong”, e scoprirli nel libro con Carl von Clausewitz e con Sun Tzu, è stato quindi, per me, entusiasmante e di conseguenza facilmente mi sono appassionato alla “ventura iniziatica” di cui parla l’Autore.

Avventura che altro non è se non un cammino metafisico che va da i Ching all’Europa e viceversa, dove colui che compie la Queste cerca un tipo di Santo Graal che è non la mera vittoria sui tavoli da gioco, ma la Conoscenza del Gioco stesso, di un Grande Gioco d’ordine metafisico e superiore, ovvero quello che conduce chi vi partecipa – o che dovrebbe parteciparvi – a raggiungere i Principi Primi che governano la Realtà. Una realtà onnicomprensiva che si sviluppa su più piani dell’essere.

Il ping-pong è dunque, secondo Mina di Sospiro, una vera e propria “iniziazione sciamanica”, o secondo la dottrina occidentale un’iniziazione in un certo “di mestiere”, così come avveniva, per i pittori nel XV e nel XVI secolo e prima d’allora, per i Trovatori e per i Cavalieri. La racchetta non è alla fine così diversa dal pennello, dal bulino o da una spada. Lo spirito che la impugna è il medesimo e Miyamoto Musashi qui incontra Il cavaliere di Lagardère.

Ma ogni “iniziato”, qual è il nostro “giocatore”, ha necessità di un vero Maestro, non uno dei tanti ciarlatani new age che infestano il nostro pianeta… ma di uno vero, un Adepto. Poi oltre al Maestro vi è la cerca dell’“arma sacra”, in questo caso della “racchetta perfetta”, dotata d’anima e di una personalità propria. Così tra il racconto d’una partita a ping-pong e un’altra, Guido Mina di Sospiro ci conduce lungo le pieghe della metafisica che procede da Platone ad altri speculatori dell’intelletto sino a ritrovarci in compagnia di duellanti e artisti, in un libro poliedrico che offre al lettore più livelli di interpretazione e anche di nobile divertissement, comprensibili anche per chi non avesse mai giocato al “tennis da tavolo”. La metafisica del ping-pong esorta chi lo legge a meditare e per tutti coloro che sfoggiano sonanti terminologie “esoteriche”, dedicandosi al proprio ipertrofico ego, nel loro ashram personale a rifuggire da tanta mediocre vanità.

Dunque, se proprio non si è portati per l’Avventura cavalleresca, per un mondo di Eroi e di fanciulle da salvare da Orchi e da Draghi, si può sempre provare l’ebbrezza di una sfida sovrarazionale e artistica, giocando una partita dove le piccole sfere bianche saettano come fulmini in un cielo verde smeraldo e forse, di questi nostri tristi tempi, il Graal si può trovare anche così.

(*) Guido Mina di Sospiro, “La metafisica del ping-pong. Il tennistavolo come viaggio alla scoperta del sé”, Ultra Roma 2023, 206 pagine, 16,80 euro


di Dalmazio Frau