Tutti via Con-te

giovedì 8 giugno 2023


Roma di rottura, Roma che in tre giorni ospita due ammaliati dalla musica e non dalle categorie, dagli sbarramenti, dai muri, dai paludamenti, dalle divise che un artista deve indossare per far riconoscere se stesso e le proprie note.

Così all’Auditorium, dopo il pirotecnico Stefano Bollani, è di scena l’uomo non lirico che ha violato la Scala, aprendone la volta alle stelle del jazz senza toccare il magnifico lampadario. Paolo Conte alla cavea, nel cui cielo le stelle avevano scacciato le nubi dei giorni scorsi. Per lui, solo per rispetto al jazz dell’uomo che si diceva volesse abbandonare le scene. Ma perché?

Forse ottantasei anni, con voce intatta, camminata quasi sicura e controllata a debita distanza sono un motivo per tagliare al mondo le condutture che portano all’emozione? Se i politeisti prevedessero un dio della vita vera, quello sarebbe lui. Finché Conte racconterà di milonghe e mocambi ci sarà motivo di pensare che il mondo analogico, fatto di colori, suoni, emozioni vere e anche tanto fumo, esiste ancora.

Pubblico educato, entusiasta, mezza età. Ha evitato mormorii per la delusione di non ascoltare molti successi, da Bartali a Gelato al limon, e poi azzurro come il cielo di una giornata al mare. Banale chiedersi perché non le ha eseguite, come è banale notare che ha cantato alcuni brani in piedi, facendosi sostituire da un pianista e limitandosi a suonare l’affascinante kazoo.

Ha immerso gli spettatori in suoni e colori tropicali, con storie un po’ torbide e invito ad andare via con lui ovunque li portasse, sapendo che dopo la bettola un po’ zozza si entrerà nell’atmosfera magica, chic, piena di charme in cui l’eleganza necessita solo di relax. Basta abbandonarsi alle coccole di questo signore che si chiede perché ci sia chi fa ridere, forse per il pubblico che vuole ridere, per cancellare le lacrime. Le chic et le charme… è intraducibile.

Ottantasei anni non sono tanti, non sono tanti, non sono tanti. Ripetiamolo tutti insieme, sempre, perché arrivi alle sue orecchie, e lo convinca a continuare ad aprire le volte dei teatri di tutto il mondo per cantare al firmamento.


di Gian Stefano Spoto