mercoledì 7 giugno 2023
Dalla Svizzera a Kiev in un solo salto mortale. Storia della giovane ginnasta ucraina quindicenne, Olga, inviata in Svizzera dalla madre (giornalista ad alto rischio che segue da cronista la rivolta popolare di Piazza Majdan Nezaležnosti del 2014 contro il presidente filorusso Viktor Janukovyč), per essere ospitata dalla famiglia di suo marito, cittadino elvetico. Da domani sarà nelle sale cinematografiche italiane il film Olga dell’esordiente regista franco-svizzero Elie Grappe, che unisce in un’ottica comune e duale due eventi contemporanei che si svolgono però all’interno di spazi completamente diversi. Il primo, di ambientazione storica e verista, ci parla attraverso drammatiche testimonianze, tratte da video originali, degli scontri e della conseguente violenta repressione dei reparti antisommossa ucraini contro centinaia di migliaia di cittadini, insediatisi in permanenza a Piazza Majdan Nezaležnosti.
All’origine dei disordini, durati circa un mese con l’occupazione in pianta stabile della grande piazza da parte dei manifestanti, si colloca la protesta popolare contro la decisione del Governo ucraino di recedere dall’accordo di libero scambio con l’Unione europea, a favore della Russia di Vladimir Putin. Sull’altro versante della scena, divisa simbolicamente a metà, si racconta dello sradicamento di una Olga (interpretata da Anastasia Budiashkina, ginnasta professionista anche nella realtà) che viene letteralmente “espiantata” dalla sua bella comunità coesa di ginnaste ucraine, che prima dei disordini si preparavano con lei agli imminenti campionati europei e, più in prospettiva, alle future Olimpiadi.
La sorprendente resistenza ucraina dopo l’invasione del 24 febbraio 2022 è già da allora presente nella dimostrazione di orgoglio nazionale da parte delle giovani atlete di Kiev, che non perdoneranno al loro amatissimo allenatore di aver accettato al tempo dei disordini un contratto con la Russia per allenare la sua squadra olimpionica ai campionati europei, dove si confronteranno i colori nazionali dei futuri invasori con quelli delle loro vittime. Il dramma di Olga è, in realtà, una sorta di Giano Bifronte e un dilemma insolubile, essendo la giovane atleta divisa a metà per l’esigenza, da un lato, di stare assieme alle sue compagne, e a tutti gli altri ragazzi che sfidano la polizia rischiando la vita in Patria.
Sul versante opposto, tuttavia, Olga sente di dover onorare il suo debito di riconoscenza con la vita che le offre un’altra opportunità, permettendole di coltivare la sua fondamentale passione sportiva in un luogo per così dire “protetto”, come la grande palestra dell’impianto sportivo svizzero dove si svolgono i suoi allenamenti. Costretta, pur di gareggiare, a scegliere obbligatoriamente la cittadinanza svizzera (dovendo indossare la maglia della Nazionale di Berna), Olga si troverà con le sue difficoltà linguistiche e comportamentali a fare i conti con un ambiente eterogeneo, costituito da compagne di squadra e coetanee che non le renderanno la vita facile, tra alti e bassi dell’emotività adolescenziale, coniugati a una forte componente competitiva tra riserve e titolari.
Sarà proprio la droga dell’adrenalina e dello sfinimento di allenamenti che vanno dall’alba al tramonto, provando in solitario (a proprio rischio e pericolo!) le figure tecniche più difficili e complesse, a fare di Olga un’atleta di successo perché, in fondo, tutti sanno che in caso di vittoria ai campionati europei sulle russe lei sarà per tutti “l’oriunda ucraina”. Impresa, però, che le costerà fisicamente molto cara e da cui ne uscirà fuori grazie alla grande umanità dimostrata dai suoi tutor della squadra nazionale svizzera e, in buona parte, soprattutto dalla famiglia del padre e dal coraggio disperato di sua madre che la vuole salva a tutti i costi. Anche se nel loro rapporto a distanza genitore-figli, com’è del tutto naturale, non mancheranno i momenti di rabbia e di tensione per l’impossibilità di sostituire l’abbraccio a parole sempre troppo inadatte, a volte ingiuste e spesso dette con l’intonazione sbagliata, sia dall’una che dall’altra parte. Un film decisamente interessante e niente affatto demagogico.
di Maurizio Bonanni