venerdì 26 maggio 2023
Una modesta proposta per la salvaguardia della lingua italiana in un disegno di legge presentato nel lontano 1991
Per balbettar molte lingue si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi (Ugo Foscolo).
L’italiano non è l'italiano: è il ragionare (Leonardo Sciascia).
La lingua italiana è soggetta, come ogni altra, a continue trasformazioni connesse ai mutamenti che intervengono all’interno della società e quindi al variare dei costumi e dei modelli di comportamento.
I fattori di cambiamento di una lingua sono molteplici, tra di essi due appaiono di particolare rilievo soprattutto in questi ultimi decenni. Un primo è costituito dalla necessità, o dall’opportunità, di designare con termini nuovi le nuove conoscenze, le nuove applicazioni, i ritrovati della scienza e della tecnica, come pure di designare le nuove forme o modalità in cui si svolge l’attività economica o l’organizzazione sociale e politica. Un secondo fattore è costituito dallo scambio di vocaboli e di espressioni fra lingue diverse che si verifica in conseguenza della progressiva intensificazione delle relazioni fra persone e gruppi sociali di lingua diversa, oggi consentita dai mezzi di comunicazione e di trasporto sempre più potenti e perfezionati.
Osserviamo, a questo riguardo, che detto scambio non si verifica su un piano di parità fra le varie lingue. Alcune presentano una maggiore capacità di esercitare la propria influenza sulle altre. Anzi, una sola lingua, la lingua inglese, a seguito delle vicende politiche e degli equilibri economici mondiali dell’ultimo secolo, ha già assunto un ruolo egemonico difficilmente contrastabile, per non dire che è già diventata strumento di comunicazione unico in tutto il pianeta.
Stante la su descritta situazione, non è tuttavia da ritenersi inevitabile o comunque prossima la scomparsa delle lingue nazionali. È del tutto plausibile, invece, ritenere che esse continueranno, per lungo tempo ancora, a svolgere una funzione insostituibile come strumento di comunicazione negli ambiti territoriali in cui si sono storicamente diffuse. Né va trascurato il ruolo che esse possono e debbono svolgere per la conservazione e lo sviluppo dei patrimoni culturali delle rispettive comunità, patrimoni che sarebbe insensato distruggere o lasciar deperire in quanto fanno parte delle testimonianze della civiltà umana nel suo complesso.
Il presente disegno di legge, muovendo da queste considerazioni, si propone di portare un contributo alla tutela e alla valorizzazione della lingua italiana. Nella elaborazione di una proposta concreta a tale scopo si sono voluti evitare sia i pericoli di un troppo rigido tradizionalismo, sia quelli di una eccessiva innovazione. Gli studiosi dell’evoluzione dei fenomeni linguistici hanno infatti ben evidenziato che una lingua, che rifiuti pregiudizialmente di accogliere vocaboli ed espressioni nuove, è condannata ben presto a perdere il contatto con il linguaggio corrente, e restando viva in cerchie sempre più ristrette, finisce con l’estinguersi. Così pure una lingua che muti troppo rapidamente, accogliendo senza alcun controllo neologismi ed esotismi, finisce per perdere la sua identità. Per evitare i pericoli delle opposte tendenze è necessario, pertanto, individuare un modello linguistico capace di contemperare le esigenze della conservazione della tradizione con quelle dell’innovazione.
È evidente che un tale modello non risulta di facile definizione e che ogni scelta in questa materia presenterà sempre caratteri di soggettività. Col presente disegno di legge si vuole affidare il compito di elaborare un modello linguistico di riferimento ad un apposito organo dello Stato, dotato di personalità giuridica e di gestione autonoma: la Consulta nazionale della lingua italiana.
La Consulta dovrà promuovere, coordinare, disciplinare studi e ricerche sull’uso corrente e sui fenomeni evolutivi della lingua italiana; dovrà curare la raccolta di materiale bibliografico e documentario e dar vita a pubblicazioni nella materia indicata (articoli 1 e 2); dovrà inoltre svolgere la funzione di consulenza permanente per la Pubblica amministrazione in materia di uso della lingua italiana (articolo 3).
Compito fondamentale della Consulta sarà la redazione del Testo Ufficiale della lingua italiana composto di due documenti: il Dizionario ufficiale della lingua italiana e la Grammatica ufficiale della lingua italiana (articolo 4). Il disegno di legge detta poi norme essenziali inerenti alla composizione degli Organi, all’organizzazione degli uffici e allo svolgimento delle attività della Consulta (articoli 5, 6, 7) e si conclude con la delega al Governo (articolo 8) ad emanare decreti legislativi per l’attuazione delle norme contenute negli articoli da 1 a 7.
Detto testo non è stato concepito come un atto normativo vincolante, garantito da prescrizioni e sanzioni, ma piuttosto come un insieme organico di proposte motivate per l’indicazione di un uso da ritenersi “corretto” della lingua nazionale. Lo scopo fondamentale, quindi, è quello di rendere un servizio a tutti gli utenti della lingua italiana sia per gli usi più modesti e quotidiani che per quelli più impegnativi delle varie attività della vita sociale, istituzionale, culturale.
(*) Qui il testo completo del disegno: relazione e articolato
(**) Senato della Repubblica-X Legislatura-disegno di legge Numero 3046 d’iniziativa del senatore Pizzol comunicato alla Presidenza il 13 novembre 1991-Istituzione della Consulta nazionale per la lingua italiana
di Giorgio Pizzol