venerdì 28 aprile 2023
In questo periodo di ricorrenze clamorosamente, non sempre, enunciate, domina il silenzio, fino ad oggi, su di un cinquantenario: la morte di Anna Magnani. Un silenzio illegittimo. Da riparare. Ne scrivo anche nel mio recente libro: Ho vissuto la vita, Ho vissuto la morte (Armando Editore). Con Anna Magnani ci frequentammo, assiduamente, quasi fino alla morte di lei. Era amica di Elsa De Giorgi, con la quale vivevo. Elsa possedeva una villa al Circeo, Punta Rossa. Anna all’inizio del Circeo. D’estate andavamo in un cinemetto scoperto. Appena ci scorgeva, Anna diceva a voce alta rivolgendosi ad Elsa: “Attenta alla Barbosa!”. La Barbosa era una grandiosa barbona marrone, festosissima, di gloriosa stirpe, fratelli o suoi parenti erano diffusi tra i maggiori intellettuali. Linuccia Saba, figlia di Umberto Saba, e intima di Carlo Levi, ne aveva esemplari, del resto tra possessori di cani e di gatti esistevano sodalizi, e spartizioni accurate, e bisognava rispettare gli animali di casa non meno dei padroni. A proposito: fui allibito quando persino Alberto Moravia si decise a prendere un cane, un bulldog, che egli, con terrore degli ospiti, eccitava dandogli manate scherzose sul muso, e vedere scherzare Moravia era inconsueto: scherzare fisicamente. Questo avveniva quando Moravia stava con Dacia Maraini, in Lungotevere delle Vittorie,1, a Roma, prima, Elsa Morante, moglie di Moravia, era una gattomane totalizzante, maestosi persiani somigliantissimi di criniera e di occhi alla Morante dominavano la sua casa a Via del Babuino, mentre, allora, Moravia stava a via dell’Oca, 27.
Anna Magnani non faceva distinzioni: cani, gatti, e qualsiasi animale ricevevano da lei un amore materno tempestoso, sviscerato, combattivo, credo non inferiore all’amore che Anna aveva per il figlio Luca. Si che quel saluto prima di salutarci: “Attenta alla Barosa”, non ci stupiva, faceva parte del modo di vivere della Magnani. Nella sua villa, Anna teneva cani anche temibili, avvenivano scontri e delitti, curiosamente se un cane uccideva un cane, Anna, almeno nei casi che conobbi, non se ne faceva pena. Gli uomini dovevano curarsi degli animali, ma gli animali erano del tutto figli della Natura. Una certa idea della spietatezza della vita era intrinseca ad Anna Magnani. Personalità drammatica vertiginosamente. Fu detto che non conoscere i salotti dell’aristocrazia e degli intellettuali illuministi significava non conoscere il piacere di vivere, chi non fu ospite in Casa Magnani, nel Palazzo Altieri, presso Piazza Argentina, a Roma, ha perso la vista di magnifiche donne e di brillanti personaggi, oltre Anna e con Anna.
Claudia Cardinale, a braccia scoperte, alta, flessuosa, con il viso tondeggiante, gli occhi ombrati e la pelle ambrata costituiva la giovinezza femminile, sorrideva con qualche selvatichezza e aveva una voce lievemente roca che faceva oscillare l’interlocutore maschile. Il produttore cinematografico Lombardo era il suo compagno, di mezza età, elegante, misurato, non saprei dire se più invidiato, odiato, ammirato, certo che il tasso di virilità alla comparsa di Claudia Cardinale aleggiava, diciamo, nel salone, e anche gli uomini più anziani ne tentavano reminiscenza, mentre la Cardinale innocente come Elena di Troia passava la sua giovinezza ai nostri sguardi, affermazione vivente della gioia di vivere. Diversa, ma non meno attraente Monica Vitti. Il volto alquanto camuso, biondona, voce nasale, densa, sana, bianca, spigliata, le era capitato addosso, quale suo amato e innamorato, Michelangelo Antonioni, duro, secco, tirato di volto, e la Vitti cercava di essere adeguata. Una volta quel giovanottone incontenibile che fu Alberto Sordi tentò di stringere la Vitti, scherzava, ma la Vitti gli sfuggì angosciata, per Antonioni credo che pure uno scherzo sarebbe parso una scomposta sconcezza.
Da Anna si finiva con il cantare o con il litigare. Anna sfoggiava una vocina minuta, lieve, melodiosa, le piaceva il romanesco, e cosine divertenti, burlesche, che sovente accompagnava con movimenti danzanti. Rideva, scopriva denti canditi, fitti, una risata sonante, ma di consueto il volto era un marmo asciutto, occhi incredibili color avorio, nudi, e uno sciame abbondante di capelli nerissimi. Bastava un niente a intigrirla, e le serate diventavano incandescenti, specie se capitava un rabbioso “impegnato” come Sergio Amidei, sceneggiatore, il quale più che per essere “impegnato” era un personaggio al fulmicotone, e abbandonava la cena o la sala ai primi diverbi. Anna di solito cercava quiete ma se prendeva fuoco tremava il palazzo. Anche Luca aveva temperamento, diciamo, si che non sapevamo come finiva la serata. Ma che serate! Ciascuno esibiva inevitabilmente se stesso, Anna canticchiava, Elsa De Giorgi danzava, Franchino Monicelli, sceneggiatore, fratello di Mario, il regista, era un narratore di episodi vissuti, tra il pettegolo e la cronaca, sterminato, da tenere la curiosità ore e ore, Alberto Sordi riempiva le stanze di vitalità, gli occhi di un azzurro lucente, sgorgante buonumore, Giuseppe Bertolucci, fratello di Bernardo, organizzava burle, Fabrizio Sarazani parlava delle sue indagini su Roma antica, di cui era tra i massimi cultori. Solo qualche nome, vi era spesso Suso Cecchi D’Amico, sceneggiatrice, figlia di Emilio Cecchi, e moglie di Lele D’Amico, Masolino D’Amico con la bellissima moglie di allora, Benedetta Craveri, nipote di Benedetto Croce!
Una sera vedemmo uno sceneggiato per televisione sul Risorgimento, con regia di Alfredo Giannetti, e la Magnani protagonista, zitti zitti; ma dopo fu un discutere realmente “estetico” e ideologico ma non pregiudiziale. Non credo di rappresentare quei tempi migliori di quanto fossero, voglio solo dire che il male peggiore, la rovina costituita dal credere che ciò che si vende è “bello” o vale, non aveva sporcato quell’epoca. Forse si sosteneva che era “bello” quel che apparteneva alla ideologia condivisa, ma l’abiezione di confondere “bello” con il successo di vendite ci era risparmiato. Da Anna, coppie uomo-uomo, donna-donna, non scandalizzavano né se uno era bianco, nero, giallo, marrone. Ma con misura. Ciascuno di noi praticava la libertà. Libertà, non degradazione. All’opposto: una morale che cercava non la fallace “virtù” del divieto ma di congiungere passioni, piacere di vivere e responsabilità. Anna aveva per compagno un attore molto più giovane di lei, Osvaldo Ruggieri, recitarono insieme ne La lupa, di Giovanni Verga, con la regia di Franco Zeffirelli. Anna amava i ruoli estremi, voleva mantenersi femmina, odiava l’idea che la si potesse considerare invecchiata. È noto che la eventualità di recitare come madre di Sofia Loren ne La ciociara che Vittorio De Sica dirigeva dal romanzo di Alberto Moravia la infuriò. Non era un’epoca di gran fortuna, per lei, anche il regista Franco Enriquez non ricordo che rinuncia fece di Anna, che gli scrisse una lettera pubblica da tramortirlo. Ebbe tuttavia anche eccellenti evenienze, ad esempio Pier Paolo Pasolini la rese protagonista di Mamma Roma.
La Magnani era disperata e vitale, combattiva e generosa, certo aveva qualche ansia per il figlio Luca, che pativa un male alle gambe, ma Luca era ben saldo, un magnifico volto, l’ho presente seduto, a osservare, senza il minimo sconforto, apparente, dell’essere obbligato alla sedia. Mi pare studiasse architettura, guidava l’automobile, una volta viaggiammo insieme dal Circeo a Roma. Fu improvvisa la notizia della malattia di Anna. E fulminea la morte. Alla clinica Mater Dei sostava la gente per sapere notizia. Venne pure Roberto Rossellini, il regista dei più cupi film neorealistici e di notevoli film didattici, le era stato compagno in amori veementi, l’aveva lasciata per la Ingrid Bergman, con strazio di Anna. Era un uomo alto, energico, testa spoglia, agile e visibilmente perspicace. Con la Magnani scomparve una persona, e una personalità, attrattiva, tutto un mondo le si rivolgeva, era una vera “presenza”, i suoi “sfottò” divertivano perfino chi li riceveva. Ma nel chiuso era tragica quanto la Maria Callas, e credo per lo stesso motivo: che cercavano un amore che se trovato perdettero o che non trovarono. Luca era figlio per una relazione con Massimo Serato. La rivedo ancora nella sala della villa del musicista Goffredo Petrassi, a tavola, si sedeva sempre in modo che la luce non le giungesse in volto, le stesse alle spalle, i vasti capelli la celavano maggiormente, con la voce limpidissima, rideva, giocava, beffava, poi si intenebrava, quindi sgorgava in una nuova risata che affermava la volontà di vivere oltre ogni dolore. Eppure ciò che mi resta più interiorizzato della Magnani è la sua domesticità, quando eravamo in pochi, e cenavamo disinvoltamente, le sue conversazioni divertite con un contadino che badava alla villa o le conversazioni con l’architetto Antonio Valente, famoso durante il Ventennio, uomo di un candore che abbatteva ogni violenza, sempre accompagnato dalla governante che poi sposò, Margherita, dalla devozione rustica, costei, e una parlata popolana da godere. Anna dimenticava di essere la Magnani, attenuava la veemenza, trovava con persone sicure pacificazione; cantavamo, chiacchieravamo, discorrevamo di gatti e di cani, io m’ero preso una scimmietta. Anna mi chiamava spesso, anche tardi, per sapere se la scimmietta stava bene. Niente esisteva che non amasse. Tempo che fu.
di Antonio Saccà