giovedì 27 aprile 2023
Questo è il secondo titolo della nuova collana “Voltairiana”, di cui vale la pena trascrivere parte della nota dell’editore sulla ragione della stessa: “Nel convincimento che ormai anche il nostro Paese ha assunto connotati marcatamente illiberali in tutti gli ambiti… perdipiù consentendo nel suo seno l’esistenza e il prosperare di caste intoccabili come magistratura e sindacato, abbiamo concepito questa nuova collana “Voltairiana” per offrire agli italiani, di parole chiave che affollano il discorso pubblico, una lettura diversa rispetto a quella imposta dal canone semantico ufficiale e unico… Un’operazione di ortopedia lessicale? Sicuramente. Ma soprattutto di disintossicazione concettuale”.
Con ciò la casa editrice, ed il compianto editore da poco scomparso, Aldo Canovari, proseguono l’opera meritoria di disintossicazione da banalità e idola del pensiero unico.
Anche questo pamphlet evita demonizzazioni a priori; piuttosto avvalendosi (anche) delle concezioni di Ferdinand Tönnies e Max Weber, sostiene che di popoli ce ne sono essenzialmente due: il popolo sacro, caldo e naturale, e il popolo profano, freddo e innaturale. Essendo dei tipi ideali, nel concreto convivono, ma sono “separati in casa”. Ogni popolo concreto, così, è un po’ sacro e un po’ profano, anche se l’uno e l’altro aspetto possono, nel corso della storia, prevalere.
I connotati distintivi dell’uno e dell’altro ideal-tipo sono diversi: il primo è monista, organicista, bellicista e mistico, vive la politica come religione e la religione come politica. Al contrario “il popolo profano esprime una vocazione al disincanto, alla razionalità, alla stoica moderazione degli impulsi… Non crede in salvezze, Regni di Dio, terre promesse. E diffida di chi invoca il popolo in loro nome… Questo popolo, insomma, non è un organismo naturale ma un artefatto più o meno razionale, non è monista ma pluralista, non garantisce identità ma molteplicità, non ha coesione, ma un certo grado di frammentazione… soprattutto, non presuppone un fine morale comune, per nobile che suoni: la grandezza della Patria o il riscatto dei lavoratori, la volontà di Dio o il primato della razza”.
Scrive l’autore che nel secolo passato l’intermezzo tra le due guerre mondiali – come le guerre stesse – costituisce l’apogeo del “popolo sacro”, diffusosi in quasi tutta Europa. Il Secondo dopoguerra è quello del popolo profano. Di solito, il popolo sacro “finisce imbrigliato nelle maglie del popolo profano, con cui la sua pulsione totalitaria viene addomesticata da leggi e regole, logorata da polemiche e sfottò, sfiancata da negoziati e compromessi”. Il popolo sacro ne esce spesso “profanato, normalizzato, sgonfiato, finché si accasa a malincuore nei freddi regimi costituzionali”. Il che ricorda assai le considerazioni di Max Weber sulla conversione dei regimi politici carismatici in pratica quotidiana.
D’altra parte, scrive l’autore “se nella storia percorsa finora v’è una pallida regolarità, sta nel fatto che non v’è ondata globalista che non generi una reazione localista, pulsione cosmopolita che non causi un rinculo nativista, spinta secolare che non subisca un rigurgito religioso”. Quanto alla situazione odierna, pare che ci sia ripresa del “popolo sacro”.
D’altra parte “popolo sacro e popolo profano ci sono dagli albori ed è probabile che in forme sempre mutevoli e sempre nuove miscele ci saranno sempre, in ogni civiltà, in ogni società e, in fondo, nel cuore e nella mente di ogni individuo”. S’alimentano a vicenda. Tuttavia, nell’epoca moderna è il popolo profano che “vanta più progressi che tonfi, che s’è allargato più che ristretto”. E il motivo è che ha desacralizzato il popolo. “Penso che la desacralizzazione del popolo sia un correlato chiave del processo di secolarizzazione… Secolarizzazione e desacralizzazione, secolarizzazione e popolo profano, secolarizzazione e democrazia camminano in parallelo nella storia occidentale. Non è una legge, ma una tendenza sì”.
Una nota: è vero che gli ideal-tipi del popolo ricorrono sempre, e quindi sono compresenti nello stesso popolo concreto e nella stessa epoca. Tuttavia, desacralizzare – anche per questo – non basta. Anche il popolo profano deve (nel senso che è necessitato) sacralizzare qualcosa. Se è ad esempio il relativismo, sarà questo il nucleo “sacro” e non modificabile della Costituzione. Le “tavole dei valori” costituzionali, scrivono le Corti e i giuristi, sono l’espressione di ciò che è immodificabile pena il passaggio da una ad un’“altra” costituzione. Questo in estrema sintesi ciò che risulta da tante decisioni e opinioni. Perfino il Partito Democratico, la cui concezione pare così vicina all’ideal-tipo del popolo profano, in occasione del conflitto russo-ucraino (specialmente) è partito alla carica contro la Russia, chiamando alla lotta delle democrazie (sedicenti) liberali contro le autocrazie. Ma ciò conferma che nelle istituzioni politiche (e nelle comunità umane, come scriveva Maurice Hauriou, c’è sempre un fond (anche) teologico e un involucro (couche) giuridico. Non è possibile sfuggire al fond come non si può prescindere dalla couche, è una regolarità. Comune ai popoli sacri e a quelli profani, e alle loro istituzioni.
(*) Loris Zanatta, “Popolo”, Liberilibri, Macerata 2023, pagine 76, 14 euro
di Teodoro Klitsche de la Grange