“Foibe, esodo, memoria”: il dramma dell’italianità nell’Adriatico

giovedì 20 aprile 2023


Nato a Roma nel 1960, figlio di esuli dalmati, studioso di storia e letterature straniere, Marino Micich ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla storia dell’Adriatico orientale, con particolare riferimento al Novecento. Ha organizzato il primo Master universitario per l’Università “Niccolò Cusano” sul tema dell’esodo giuliano e dalmata e la questione delle foibe. Dal 1997 dirige, nella Capitale, l’archivio-museo storico di Fiume ed è segretario generale della Società di studi fiumani, ente riconosciuto dalla legge 92 del 2004 (con l’istituzione de “Il Giorno del Ricordo”), oltre a essere promotore del dialogo culturale con la città di Fiume (Rijeka-Croazia) sin dal 1993.

Con Giovanni Stelli, presidente della Società di studi fiumani, lo storico di area cattolica Pier Luigi Guiducci e il giovane Emiliano Loria, curatore della sezione archivistica dell’archivio-museo storico di Fiume, Micich ha pubblicato ultimamente il saggio “Foibe, Esodo, memoria. Il lungo dramma dell’italianità nelle terre dell’Adriatico orientale”. Con lui, parliamo adeguatamente di questo saggio redatto a più mani.

Professor Micich, qual è anzitutto l’ottica di fondo del libro?

Il libro si occupa dei temi centrali legati alle terre giuliane e dalmate, spesso oggetto di dibattito tra gli storici. Gli autori trattano, ciascuno con saggi specifici, gli eccidi commessi nei confronti degli italiani in Venezia Giulia e Dalmazia dai partigiani jugoslavi, in gran parte dal maggio1945 in poi. Il fine delle armate di Tito non era solo sconfiggere le truppe naziste e fasciste, ma annettere tutta la regione giuliana, jugoslavizzandola ideologicamente ed etnicamente. Altro tema trattato è quello dell’esodo dei 300mila giuliano-dalmati e della loro difficile accoglienza in Italia.

Nella prima parte del libro, Giovanni Stelli, presidente della Società di studi fiumani, si sofferma sulle varie cause dello sterminio, dal 1943 al 1945 e oltre: furore anti-italiano (tesi a lungo prevalsa nella storiografia jugoslava, e italiana di area comunista), “pulizia etnica” anti-italiana, “epurazione preventiva” della società locale in direzione del nuovo Stato comunista. Lei quale di queste cause ritiene prevalente?

Le uccisioni nelle foibe, soprattutto di italiani, rispondevano a una logica politica, che anzitutto voleva epurare tutti quegli elementi che potevano, a guerra finita, opporsi alla rivoluzione comunista jugoslava e anche all’annessione, da parte di Belgrado, delle terre giuliane e dalmate. Inoltre, esisteva un secondo fine da parte jugoslava: quello di rendere, dal punto di vista etnico, compattamente slava Fiume, l’Istria e persino Trieste e Gorizia. Nel comunismo di Tito c’era senz’altro anche una forte componente nazional-popolare.

E qual è la stima più realistica e attendibile delle vittime delle foibe?

Il conteggio esatto non è più possibile: non avendo le autorità jugoslave rilasciato, nel tempo, alcun elenco, si possono solo fare delle stime. Gli uccisi nelle foibe si possono stimare fra i 4mila-5mila, ma bisogna aggiungere quanti furono eliminati in altro modo: nelle cave di bauxite, per annegamento in mare, o nei campi di concentramento jugoslavi o nei campi di rieducazione (tra i più terribili, quelli di Lepoglava, Stara Gradiska, Lubiana e Maribor). Si possono quantificare, in complesso, dalle 8mila alle 10mila persone rimaste vittime del sistema poliziesco jugoslavo, imperniato sulla famigerata Ozna, la polizia segreta. Ma nei confronti degli italiani, queste tragiche vicende non furono una risposta jugoslava, pura e semplice, al fascismo (che aveva dominato per vent’anni le terre istriane e dalmate), ma soprattutto il risultato della rivoluzione comunista, del tentativo di cambiare la società con metodi prevaricatori e violenti. Ovunque nel mondo, il numero delle vittime delle rivoluzioni comuniste è stato sempre molto alto, con oltre 20 milioni di morti.

E oggi, dopo tanti cambiamenti nel clima politico generale e nelle relazioni fra l’Italia e gli Stati dell’ex Federazione jugoslava, come affrontano questi temi i libri di scuola croati, sloveni e serbi? E che cambiamenti ha notato, invece, nei libri di testo italiani, specie delle scuole superiori?

Per quanto riguarda i libri di scuola croati o sloveni non c’è traccia adeguata, ma era lo stesso per i manuali scolastici in Italia fino a soli 10 anni fa. Invece esistono studi, in Croazia, centrati sulle epurazioni di massa del regime di Tito nei confronti anche degli oppositori politici, o presunti tali, di etnia slava. Molti storici quantificano in circa 100mila le vittime causate nelle etnie croata o slovena: vittime che ora dovranno avere anch’esse un posto nella memoria nazionale di quei Paesi. In seguito alla legge 92 del 2004, comunque, in quasi vent’anni, molta strada è stata fatta.

Quali temi, infine, trattano gli altri due capitoli del libro, opera di Pier Luigi Guiducci e di Emiliano Loria?

Guiducci si è occupato della persecuzione dei religiosi da parte dei comunisti jugoslavi. Nell’Istria, a Fiume e a Zara ben 52 sacerdoti furono eliminati, molti dei quali nelle foibe. Il caso di Don Francesco Bonifacio, ad esempio (il giovane curato dell’allora Villa Gardossi, paese dell’Istria, torturato e ucciso dai titini nel 1946, ndr), è ben messo in rilievo dallo storico, che spiega anche i motivi ideologici dell’accanimento contro la Chiesa non solo italiana, ma anche croata e slovena. Emiliano Loria ha raccolto interessanti testimonianze di esuli zaratini, e di Abdon Pamich, grande campione olimpionico di marcia, che fuggì da Fiume, insieme al fratello, a soli 13 anni.

(*) Pier Luigi Guiducci, Emiliano Loria, Marino Micich, Giovanni Stelli, “Foibe, Esodo, memoria. Il lungo dramma dell’italianità nelle terre dell’Adriatico orientale”, Aracne editrice, 2023, 25 euro, 300 pagine


di Fabrizio Federici