Addio al compositore Premio Oscar Ryuichi Sakamoto

lunedì 3 aprile 2023


Ryuichi Sakamoto si è spento a 71 anni. Il musicista e compositore giapponese se n’è andato dopo una lunga battaglia contro un male incurabile. Sakamoto è noto al grande pubblico per l’Oscar conquistato per la colonna sonora del capolavoro di Bernardo Bertolucci, L’ultimo imperatore (film premiato con 9 statuette). Nato a Nakano nel 1952, e considerato uno dei primi sperimentatori tra la musica etnica orientale e i suoni elettronici dell’Occidente, Sakamoto aveva ricevuto numerosi riconoscimenti in carriera. “Sono una persona timida – diceva di sé – non esibizionista e non sono abituato, ne amo, mostrare la mia vita quotidiana”. 71 anni e una vita passata a sperimentare con la musica, mescolando suggestioni etniche e suoni elettronici dell’Occidente in un sound eclettico unico e particolarissimo che è stato tante volte il sigillo di film, capace di evocarne le atmosfere a distanza di anni solo accennando poche note. Era stato un componente degli Yellow Magic Orchestra, gruppo che mescolava la musica elettronica giapponese e il j-pop, ma da solista ha legato al cinema molta parte della sua carriera e proprio il cinema nel 2017 lo aveva ricambiato con un documentario su di lui, oltre ad invitarlo in tanti festival come a Locarno nel 2020 o a Venezia dove era stato giurato nel 2013.

I film sono stati una parte fondamentale della sua energia creativa: dalle colonne sonore per Bertolucci, come L’ultimo imperatore (scritta con David Byrne e Cong Su, premiata anche con un Grammy) e Il tè nel deserto. E poi Furyo, diretto dal giapponese Nagisa Oshima, Revenant di Alejandro González Inárritu. “Il cinema è da sempre una grande fonte di ispirazione per me. Tutta la mia musica la concepisco come fosse una colonna sonora senza film”, aveva detto Sakamoto. Recitare, invece, “è una cosa che non ho cercato. Ho accettato di farlo solo perché me l’hanno chiesto registi che ammiro moltissimo, come Nagisa Oshima o Bernardo Bertolucci, in L’ultimo imperatore. Ecco, se me lo chiedesse un altro cineasta che amo molto potrei accettare un altro ruolo”.

Figlio di Kazuki Sakamoto, editore della Kawade Shobo Shinsha, Sakamoto aveva studiato scrittura musicale all’età di 10 anni rimanendo affascinato dai Beatles e da Debussy. Nel 1978, Sakamoto formò gli Ymo con Haruomi Hosono e Yukihiro Takahashi che con la loro musica techno-pop, che faceva pieno uso di sintetizzatori, era in sintonia con i tempi della fine degli anni Settanta. Ha lavorato con molti artisti, specie con Alva Noto con cui ha stretto un sodalizio longevo e ricco di cinque album. Nel 2017 aveva pubblicato il suo album solista intitolato Async, mentre a gennaio di quest’anno è uscito il suo ultimo lavoro 12. Fortissimo il suo legame con la Natura, e così lo tstunami e i disastri a catena di Fukushima lo segnarono profondamente, diventando un punto di svolta nella sua vita e nell’arte facendolo diventare un attivista. Nel 2011 è stato tra i firmatari di un appello di oltre 300 personalità contro l’atomo a uso civile, poco prima del minuto di silenzio in memoria delle vittime e della triplice catastrofe dell’11 marzo 2011.

Negli ultimi anni, i suoi sforzi si erano concentrati su quella campagna antiatomo a uso civile, diventando tra i principali testimonial del movimento “Sayonara Genpatsu” (addio alle centrali nucleari), col Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe. E nel 2014, per il terzo anniversario della catastrofe di Fukushima, Sakamoto partecipò alla grande manifestazione di protesta di Tokyo, all’Hibiya Park. Con un tablet in mano incantò tutti lanciando le note di un brano “emotivo” composto, sulla scia alle disastrose immagini trasmesse dai media, circa un mese dopo il sisma-tsunami di magnitudo 9 sulla scala Richter dell’11 marzo 2011, in omaggio alle persone colpite da una “autentica catastrofe”. “Fukushima – aveva spiegato – ha avuto un grande impatto su di me. Ero già consapevole dei problemi ambientali e per questo da anni cercavo di ridurre il più possibile le mie emissioni di Co2. ma quel disastro mi ha fatto capire che non avevo ascoltato abbastanza la voce della natura. Una consapevolezza che è molto presente nel mio album Async”.


di Eugenio De Bartolis