mercoledì 29 marzo 2023
Mai avrei supposto quel che vedevo. Avevo letto della Fondazione, non immaginavo quella Fondazione. Un edificio ampio su due piani, in ogni angolo libri, non alla rinfusa, collocati per essere ben collocati, ma già scaffali di testi sorprendentemente antichi, Seicento, Settecento, Ottocento, le caratteristiche dei secoli trascorsi, nelle copertine, nelle pagine, nell’usura. Una collezione monumentale, conservatrice, uno spettacolo le pareti fitte. Forse libri dimenticati, forse libri inutili, ma che diventano memoria, rivivono per il solo fatto di essere presenti, salvati. E poi libri quasi odierni, il Ventesimo secolo, tanti, salvati anch’essi. Quando saranno collezionati, riposti, esposti, la Fondazione li renderà utilizzabili dal pubblico. Siamo a Casamassima, Bari, cittadina curata, bianca, tempestata di muri in pietra, di balconcini in ferro, lindore assoluto nelle strade, nessun rifiuto visibile, piazzette solari, rasserenanti, alcune abitazioni a colori. Non palazzoni, non sovrappeso. Vi giungo ospite di Pasquale e Nica Moramarco che della Fondazione sono l’anima attiva. Una Fondazione che si spingerà nel tempo a venire, promossa e intitolata a Sante Montanaro, un sacerdote, un monsignore avvinto alla sua terra e che alla sua terra lasciò tutto.
Di Sante Montanaro fui amico negli anni miei giovanili, dal 1967, credo, al 1973, forgiando una rivista che ebbe risonanza più che nazionale e la conserva oggi maggiormente. Una rivista con due anime che si intrecciavano, l’anima cattolica del sacerdote Montanaro, con la pubblicazione di apporti laterali al pontificato di Paolo VI, il quale aveva concepito un proposito rilevante e problematico: il cattolicesimo che cercava di uscire da sé stesso non perdendo sé stesso considerando l’altro, anche se diverso. Non si trattava di convertire il non credente, ma non escluderlo dal dialogo. L’altra anima era appunto l’agnostico, corrivamente detto laico. I risultati interni alla rivista furono notevoli. Invitai al dialogo Alberto Moravia, Mario Luzi, Vasco Pratolini, Alberto Asor Rosa, Pietro Pratesi, Ugo Spirito, Virgilio Fagone S.J., Carlo Bo, Elsa de Giorgi, Achille Occhetto, Alberto Bevilacqua. Solo qualche nome. Da parte sua Montanaro era in relazione con sacerdoti o studiosi cattolici, gli estensori delle Encicliche papali, ricordo Padre Jarlot. Ne scrivo in un brano del mio libro recente, Ho vissuto la vita-Ho vissuto la morte (Armando Editore). Una serie di dialoghi. Nessuno impediva all’altro di dialogare, questo accordo ci fu, e ne sortì libera, ampia, spregiudicata valutazione della nostra società e della società europea, mondiale.
La problematica del proletariato di rendersi classe dirigente o consumista, o piccoloborghese o persino terrorista opponendosi all’integrazione nel sistema capitalistico, come invece stava accadendo, e accadde; discutevamo del passaggio dalla società contadina alla società industriale; discutevamo della difficoltà dell’arte in una società nella quale la facilità comunicativa sostituiva il culto dell’espressione. O la facile vendibilità. Nessuna rivista, ritengo, a quel tempo, ebbe la multilateralità di Opera Aperta, così era titolata, forse altre riviste furono più estreme ma anche unilaterali, credo. Chi volesse indagare sugli anni Settanta-Settanta non può evitare Opera Aperta. Questo l’oggetto di un incontro organizzato da Pasquale e Nica Moramarco, diretto da Giuseppe Scaglione. Con interventi di Vittorino Curci, miei, e una testimonianza scritta di Dacia Maraini. Scaglione ha vagliato i molti temi della rivista, i collaboratori, i contributi, in quanto a Curci, Dacia Maraini e me semplifico in questi termini: dal drammatico momento critico degli anni Sessanta-Settanta venne la società industrializzata, consumista, ma con difficoltà interne alla borghesia che però non ebbe alternativa, e finisce con l’essere critica in sé stessa ma ancora senza alternativa. Al dunque, la sconfitta del comunismo eliminò l’alternativa, e perfino oggi le vicissitudini delle nostre società pur avendo da criticare non offrono altre classi, oltre la borghesia, come alternativa, insomma la borghesia resta egemone quando pure in difficoltà interne, ma sia il comunismo sia il proletariato non furono e non sono in grado di sostituirla, almeno in Occidente.
Che, però, almeno esista e resista una élite culturale che salvi i pregi della civiltà europea (libertà, cultura, arte), potrebbe ridare salvezza alle nostre società. Questo il mio proposito. Curci e la Maraini evidenziavano il compito critico dell’intellettuale e la difficoltà di proporre un futuro. Certo, vi è differenza con gli anni Sessanta-Settanta, in quegli anni ancora sussisteva l’ipotesi, poi fallita, che il comunismo, sovietico o cinese, costituisse una alternativa, oggi i problemi sono interni alle nostre società: automazione, Intelligenza artificiale, robotica, transgenico mutano e muteranno l’intero assetto produttivo, e naturalistico, addirittura. Mentre all’esterno Cina e Russia si propongono come forze concorrenziali. Questi gli sviluppi dei dibattiti su Opera Aperta negli anni Sessanta-Settanta. Il viaggio in Puglia mi ha permesso qualche rilievo su di un aspetto essenziale, la Natura. La Puglia è terra agricola assoluta. La natura è conservata, enormi territori coltivati minuziosamente, niente di spropositato, di confusionario, ammucchiato, sovrapposto, anzi circoscritto, rifinito. Estesissimi filari di ulivi, alberi piccoli, continuativi, credo che abbiano suscitato questa dimensione per comodità del raccolto. Diverso modo per i vigneti, spesso vengono coperti con plastiche per maturazione precoce e, mi dicevano, con aggiunta di sostanze che adulterano o vengono considerate dubbie. L’uomo ha sempre compiuto interventi sulla natura ma non la ha denaturalizzata. Restando nella natura. Ha coltivato non rinnegato la natura, anzi: permesso, favorito la coltivazione, la salute della natura. Il cambiamento genetico, la sostituzione, la natura da laboratorio possono, potrebbero invece assestare un botto annientativo alla natura. Lo stesso per le civiltà. Una cultura cancellata, in mani straniere, un uomo geneticamente modificato o con l’intelligenza fuori dalla mente dissolverebbero le civiltà e l’umanità. Natura e cultura sono a rischio. Visitavo Alberobello, un piccolo centro con delle abitazioni a pinnacolo, piramidali, intime come capanne, stanze al piano terra e poi quei tetti in mattoni rossicci piramidali, dicevo. I trulli. E l’intero abitato bianco che rifrange la virtù del sole. Un’armonia natura-cultura che rafforza la voglia di vivere. Il lungomare di Bari, poi, mi aggiunse uno spettacolo di sole, mare azzurrino, bianco dei palazzi, l’esposizione culturalizzata della natura.
Ecco il punto: non si tratta di tornare al passato ma di non ucciderlo, mantenendo il rapporto tra natura e cultura (arte) che rende civiltà le società. E gioisce l’esistenza. Una visita alla Fondazione la rifarò. Vedrò i compimenti che Pasquale e Nica Moramarco hanno iniziato. Ritornerò nel salone vasto, strapieno di pubblico, dell’Iris, una scuola alberghiera che ci ha offerto una cena presentata da giovanissimi studenti, di sicuro mi recherò al Bar Oro fino del cortese Mario, in cui vengono conservate immagini di visitatori o personalità note; entrerò negli stanzini del pittore collagista Azio Speziga. Soprattutto rivivere l’atmosfera dei centri afferrabili, cordiali, che alla lunga forse sono angusti ma rendono l’esistenza socievole, ravvicinata, non oppressa. Bisognerebbe ripensare esteticamente la vita.
La serata dell’incontro, straripante di persone, dicevo, fu possibile oltre che per l’impegno di Pasquale e Nica Moramarco e Giuseppe Scaglione mediante collaboratori assidui della Fondazione Sante Montanaro: Antonella Acito che ha letto brani della rivista, Raffaela Pellegrino e Fabio Dentamaro collaboratori di Giuseppe Scaglione all’evento, l’espressiva locandina realizzata da Giampiero Macino, mentre Dora D’Elia si è dedicata al mio libro. Chiaro, non si può vivere soltanto “esteticamente”. Ma è pur vero, come taluni pensatori ritenevano, con propaggini fino alla Scuola di Francoforte e a Sigmund Freud, oltre Friedrich Schelling, Friedrich Schiller, Richard Wagner, Friedrich Nietzsche, ma la faccenda si complicherebbe ed arricchirebbe, al dunque: anesteticamente non ci sarebbe vita. L’educazione estetica o, meglio, il culto dell’arte, del sensibile fa, appunto, sentire la vita, dà legame affermativo alla vita. I greci la praticavano quando pure esaltavano l’etica. Ma era un “etica “estetica”, ripresa da Roma, da Bisanzio, dal Cattolicesimo. Infatti, mi stacco da Casamassima per giungere in tempo a Roma dove in Via Bari 22 il Centro Inside The Music continua la stagione musicale sotto programmazione dell’Associazione culturale musicale Fabrica Harmonica, retta da Annalisa Pellegrini, della quale tra qualche settimana ascolteremo musica Medievale.
Il concerto che mi riporta a Roma è di canto, il soprano Galina Ovchinnikova, alta, drammatica, voce stagliata, acuti diritti, saldi, qualche sfumatura morbida non la danneggerebbe specie in certe “arie”, come fu per Arrigo Boito (L’altra notte-Mefistofele), mentre in aree del Nabucco fu ammirevole nelle variazioni emotive, così nell’aria di Santuzza (“Voi lo sapete”, Cavalleria rusticana). Al pianoforte Rocco Roca Rey. Eccellente chitarrista, il giorno successivo, Pietro Locatto, non una vibrazione esterna, un graffio di corde, suono denso, armonico-melodico, arpeggio minuzioso, centellinato. La scelta dei testi eseguiti non consentiva, tranne qualche momento, coinvolgimento, musiche elaborate, non di “canto”, di melodie riconoscibili, forse ascoltate più volte trarrebbero, forse. In certo senso, esecuzioni più per l’esecutore che per il pubblico. La chitarra ha compositori da visibilio, non conta che siano molto conosciuti, restano udibili. Non sempre il non conosciuto vale conoscerlo. Talvolta Locatto rendeva la chitarra un mandolino e un’arpa. Come esecutore da apprezzare. Avesse suonato Isaac Albéniz! Le scuole devono impartire anche educazione estetica. L’Italia in specie ha il massimo accumulo di arte in ogni diramazione. Imparare un mestiere, certo, una professione, ma difendiamo la nostra civiltà conoscendola. Non si difende quel che non si conosce. Non si ama quel che non si conosce. Non si è cittadini patrioti per la professione o il mestiere ma per la civiltà, la storia, l’arte. L’esperienza di Casamassima, del sacerdote che per l’intera vita prese cultura donandola, questa è civiltà. Amor patrio. Patria. Monsignor Sante Montanaro, Pasquale e Nica Moramarco ne consacreranno la memoria, per Lui e per noi. Questa è civiltà.
di Antonio Saccà