sabato 25 marzo 2023
Il 24 marzo 2023 i Måneskin sono tornati a Roma con la prima data romana del “Loud kids tour”, concerto che si sarebbe dovuto tenere a dicembre 2021 e da allora in me l’entusiasmo di vederli era decisamente scemato. Però il Palaeur (si chiama ormai Palalottomatica ma per chi di concerti lì dentro ne ha macinati un bel po’ si chiamerà sempre così) è comodo da raggiungere e quindi vediamo se dalla loro esibizione all’Auditorium Parco della Musica di Roma del 2019 hanno mantenuto quella freschezza e gioia di suonare che dovrebbe essere propria di una band di ventenni sparati nell’iperspazio del proprio sogno musicale.
Nota d’obbligo: l’acustica del Palaeur è da sempre protagonista... per chi non ci fosse mai stato è un po’ come sentire la musica con la testa ficcata in un acquario, per buone due ore dopo con la testa incastrata in un alveare e la giornata successiva la sensazione di avere il phon sempre acceso, vabbè ma se ne vale la pena è parte del suo fascino.
Ieri purtroppo non ne valeva la pena. Il concerto non mi è piaciuto per molti motivi che possono essere sintetizzati in tre aggettivi: noioso, ingeneroso e anaffettivo. Ma andiamo con ordine.
Damiano non sbaglia una nota, musicalmente Ethan, Thomas e Victoria sono cresciuti tantissimo ma questo non basta. Un concerto ti deve prendere per mano e catapultare nel mondo dell’artista. Deve farti sentire parte dello spettacolo. Deve riportarti alla memoria tutti i ricordi legati a determinate canzoni. Deve farti sgranare gli occhi. Ti strappa “wow” a ripetizione. Ti fa stupire di un nuovo arrangiamento. Ti tira fuori un “ma nooo, è già finito?”.
Ecco, nulla di tutto questo è successo. Non c’è stata emozione, non c’è stato stupore, non c’è stata empatia. C’è stato tanto distacco e tutta la loro stanchezza evidentemente mal gestita. La stanchezza ci sta visto che sono quasi tre anni che sono in giro per il mondo a fare concerti ogni sera in una città diversa se non in un continente diverso. Stanchezza che vedi nelle loro facce stravolte e nello stare sul palco con lo spirito del “dai, timbriamo anche questo cartellino che domani ne dobbiamo fare un altro”. Cavolo ragazzi, siete al top! Siete a Roma, la vostra città!
Damiano avrà detto in tutto 50 parole di cui 5 sempre le stesse articolate in modo diverso ma il cui concetto era “cazzo ragazzi, facciamo casino!” e “Romaaaaa!”. Bastava anche solo fare una presentazione della band e i classici ringraziamenti ai roadies e al servizio d’ordine e l’atmosfera da concerto sarebbe forse migliorata. Già, perché il vero plauso va al servizio d’ordine. I quattro ragazzi a turno hanno accontentato il pubblico in deliquio con frequenti stage diving e passeggiate nel parterre “costringendo” i bodyguard a un superlavoro, ivi incluso il portare Thomas sulle spalle. Una volta va bene, anche due, ok una a testa ma anche basta.
La scaletta delle canzoni, poi, incomprensibile. Dove sono i pezzi che vi hanno lanciato? Solo “(Marlena) Torna a casa” è da salvare? È possibile mai che per il bis invece di farne una “storica” (che ne so “Chosen”, la canzone che vi ha tolto da via del Corso per dirne una facile?) venga riproposta “I wanna be your slave” già fatta in scaletta? In fondo il concerto è durato due ore e almeno un altro paio di pezzi avreste potuto regalarli vista poi la critica non proprio entusiasmante sull’ultimo album!
Ma il pubblico in delirio, come lo sono stata anche io tante volte, mi fa forse sospendere il giudizio. Voglio sperare che si mettano a scrivere, a studiare, a capire veramente come si sta su un palco. Spero che li tolgano (almeno periodicamente) dal tritacarne dello showbiz con cui tutti (Sony in primis) si stanno ingrassando e che tornino a trasmettere quel “c’ho vent’anni e non mi frega un cazzo, c’ho zero da dimostrarvi” e non “vorrei avere vent’anni ma mi tocca dimostrare di averne almeno quaranta senza l’esperienza per sostenerli e non so se ce la faccio”.
Ragazzi, se ve la state godendo ieri sera non si è visto proprio. Peccato perché dopo quella prima uscita sul palco di X-Factor nel 2017 a me uno “wow” convinto me lo avevate strappato.
di Valentina Daneo