lunedì 13 marzo 2023
La notte degli Oscar decreta il trionfo di Everything Everywhere All at Once. Il film degli statunitensi Daniel Kwan e Daniel Scheinert riceve ben 7 statuette: Miglior film, Miglior attrice (Michelle Yeoh), Migliori registi e Migliore sceneggiatura originale, Miglior editing, Miglior attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis) e Miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan). Definito dal New York Times come un “vortice anarchico di generi”, il film racconta il destino caotico del multiverso. È stato un trionfo per gli attori asiatici: mai nella storia dell’Academy due di loro avevano vinto nello stesso anno. L’unico potenziale rivale di a Everything Everywhere All at Once era il tedesco Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, apprezzato da giurati più anziani a cui le vertiginose avventure nel multiverso della lavandaia Evelyn Wang potevano esser sembrate troppo eccentriche: il film pacifista di Berger tratto dal romanzo di Eric Maria Remarque ha ottenuto quattro premi (Cinematografia, Miglior film internazionale, Set e Colonna sonora), ma ha perso per l’adattamento cinematografico contro Sarah Polley del potente film femminista Women Talking – Il diritto di scegliere.
La serata trionfale era cominciata tra le lacrime – quelle di Ke Huy Quan – e finita nell’abbraccio finale con Harrison Ford con cui Ke, fuggito in barca da bambino da Saigon in fiamme e che per un anno aveva vissuto in un campo profughi, aveva recitato in Indiana Jones e il tempio maledetto di Steven Spielberg, ma poi, una volta cresciuto non aveva finora più trovato una parte. Commossa anche la Curtis che ha dedicato il premio ai genitori, Tony Curtis e Janet Leigh. Michelle Yeoh alla fine ha battuto Cate Blanchett di Tár di Todd Field: “Un faro di speranza”, ha definito il film che l’ha rimessa in gioco a 60 anni, “per tutti i bambini e le bambine che mi assomigliano. E a tutte le donne: non lasciate che nessuno vi dica che hai passato i tuoi anni migliori”. L’Academy anche quest’anno aveva negato al presidente ucraino Volodymir Zelensky di inviare qualche parola da Kiev. Il messaggio politico è arrivato quando Navalny, il film di Daniel Roher sul tentativo del Cremlino di avvelenamento di Alexei Navalny, l’arcirivale di Vladimir Putin, ha conquistato una statuetta per il miglior documentario: “Mio marito è in prigione per aver difeso la democrazia. Sogno il giorno in cui sarai libero e sarà libero il nostro paese. Stai forte, ti amo”, ha detto sul palco la moglie del dissidente.
Delusione per l’Italia: Le Pupille di Alice Rohrwacher è stato battuto da An Irish Goodbye nella categoria dei corti live action, e così anche Aldo Signoretti, candidato per le acconciature di Elvis. Brendan Fraser come migliore attore per The Whale ha portato a quota otto il numero di Oscar conquistati da film sotto l’ombrello di A24, lo studio di produzione indipendente che prende il nome da una autostrada italiana: un record assoluto. È stata invece una brutta serata per Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh che all’inizio della stagione dei premi sembrava avviato verso una vittoria a valanga. Due premi sono andati a film che hanno riportato gli spettatori al cinema: Avatar: La via dell’acqua ha vinto per gli effetti speciali e Top Gun: Maverick per il sonoro. Pinocchio, di Guillermo del Toro secondo le previsioni ha preso l’Oscar per il film di animazione. Nonostante la presenza sul palco di superstar come Rihanna (Lift Me Up) reduce dal Super Bowl e Lady Gaga (rientrata a sorpresa a Los Angeles per Hold My Hand durante le riprese del suo nuovo film), l’Oscar per la miglior canzone originale è andato a Naatu Naatu dal film indiano RRR. Gina Lollobrigida, assieme all’artista del makeup Maurizio Silvi sono stati ricordati nel breve segmento In Memoriam. Grande assente Will Smith, vincitore dell’ultimo Oscar come migliore attore per Una famiglia vincente. Senza nominarlo Jimmy Kimmel ha fatto accenno allo Slapgate (lo schiaffo in diretta al comico Chris Rock) che un anno fa ne ha provocato l’esilio decennale dalle cerimonie dell’Academy.
di Eugenio De Bartolis